«Lo smart working? Non serve alle imprese: c'è bisogno di dialogo diretto»: parla il presidente di Confimi

«Salvo qualche rara situazione, non vedo settori che se ne avvantaggiano davvero»

«Lo smart working? Non serve alle imprese: c'è bisogno di dialogo diretto»: parla il presidente di Confimi
«Lo smart working? Non serve alle imprese: c'è bisogno di dialogo diretto»: parla il presidente di Confimi
di Umberto Mancini
Lunedì 27 Marzo 2023, 10:00
4 Minuti di Lettura

«Lo smart working non serve all'Italia e serve ancora meno all'industria manifatturiera, tanto più ora che l'emergenza pandemia è alle spalle». Va subito al punto Paolo Agnelli, presidente nazionale di Confimi Industria (l'associazione che raggruppa 45mila imprese, 650mila dipendenti) e industriale bergamasco di terza generazione. Guida insieme al fratello Baldassare un gruppo di 13 aziende che operano da leader nel mondo dell'alluminio: dal riciclo al prodotto finito. Con oltre 400 persone impiegate e un fatturato aggregato di circa 250 milioni di euro.

Presidente, perché è stato un errore prorogare fino a giugno per legge lo smart working per chi ha figli minori di 14 anni e per i fragili nel pubblico?
«Tutta questa attenzione allo smart working mi sembra in qualche modo sospetta, ci sono problemi ben più seri da affrontare nel Paese.

Mi chiedo a chi serva davvero lo smart working. Salvo qualche rara situazione, non vedo settori che se ne avvantaggiano davvero».

Perché secondo lei dopo la pandemia è stato un errore disciplina per legge? E perché sarebbe meglio lasciare alle parti direttamente interessate di definire gli ambiti di applicazione?
«Comincio col dire che dal mio osservatorio il lavoro da remoto non serve né alle grandi imprese né alle medie né alle mini. Credo che per far marciare un'azienda serva soprattutto dialogo diretto, collaborazione, stare fianco a fianco. Il cosiddetto lavoro agile può essere considerata per aree molto limitate. Penso ai call center, ad alcune attività che svolgono le banche, ma il resto dell'industria si muove su contatti che oserei dire fisici. Anche nella Pubblica amministrazione serve a mio parere il lavoro in presenza per rispondere alle esigenze di imprese e cittadini. Credo più utile affrontare il tema del salario minimo, ma anche qui industria e sindacato si sono confrontati e hanno stabilito regole chiare».

Ancora problemi nella ricerca di lavoratori qualificati?
«Il problema rimane, così come è difficile trovare operai generici. L'economia sta tirando e facciamo fatica a trovare le figure professionali che ci servono. Ci auguriamo che con la nuova legge sui flussi migratori si riesca a superare questo ostacolo. Poi però spetterà sempre alle aziende formare i dipendenti che, come dicevo, non riusciamo a trovare o comunque non con le competenze che servono. Sono i colleghi più anziani ad insegnare il mestiere, cosa che lo smart working non può fare».

La fine del reddito di cittadinanza deciso dal nuovo esecutivo vi darà una mano sul fronte della ricerca di personale?
«Al momento non abbiamo segnali, ma manca ancora del tempo allo stop definitivo. Credo che poi in molti, anche qui in Lombardia, cominceranno a farsi vivi. Del resto questa misura è stata concepita male e i controlli non sono mai davvero partiti. Si resta perplessi di fronte ai numerosi casi di "furbi" scoperti, peraltro solo quando ormai era tardi per intervenire».

Come vede l'andamento dell'economia anche alla luce delle turbolenze sui mercati? Fino a che punto i crac bancari venuti alla luce possono compromettere la crescita?
«Allo stato, non credo che le conseguenze saranno drammatiche. Per quello che vedo, l'economia sta viaggiando bene, gli ordini ci sono, c'è tanto lavoro. E credo che la corsa del Pil si attesterà non lontano dall'1%. Anche le turbolenze legate alla guerra in Ucraina sul prezzo dell'energia stanno rientrando. E prima o poi la Bce si accorgerà che questa inflazione, innescata dal caro energia, non richiede tanta rigidità sul fronte tassi».

Cosa chiedono oggi gli imprenditori al governo?
«Solo di lasciarci lavorare con meno burocrazia e meno adempimenti. Le imprese creano lavoro e ricchezza e vanno sostenute semplificando loro il cammino».
 

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