Potrebbe quasi sembrare un paradosso. L’Inps “anticiperà” con un prestito ai dipendenti pubblici che andranno in pensione i soldi del loro Tfs, il trattamento di fine servizio, o del Tfr, il trattamento di fine rapporto. Un prestito che, visti i tassi bancari attuali, sarà anche molto conveniente, visto che sarà erogato a un tasso fisso dell’1 per cento, più un contributo a titolo di rimborso spese forfettario dello 0,50 per cento. Ma andiamo con ordine.
Gli statali ricevono la loro liquidazione in tempi lunghissimi. Fino a cinque anni dopo il momento in cui lasciano il lavoro per la pensione. Si tratta di una norma decisa durante gli anni della crisi del debito pubblico per dare una mano alle casse dello Stato. La regola è questa: il dipendente pubblico che va in pensione ottiene subito i primi 50 mila euro di liquidazione, poi il resto lo prende nei successivi 24 mesi. Ma chi va in “prepensionamento”, per esempio con Quota 100 (62 anni) o 102 (64 anni), deve attendere comunque di compiere i 67 anni per ottenere le tranche della liquidazione. E questo senza contare i ritardi amministrativi dello stesso Inps nel lavorare le pratiche e che, in alcuni casi, hanno portato a ritardi di pagamento fino a 72 mesi.
Per provare a risolvere il problema dei ritardi di pagamento del Tfs e del Tfr, il primo governo Conte aveva escogitato un meccanismo di “anticipo” fino a 45 mila euro attraverso il sistema bancario. L’Abi e il governo hanno firmato una convenzione, appena rinnovata, che permette questo prestito con interessi calmierati. Il tasso previsto dall’accordo è pari al rendistato più uno spread dello 0,4%. Il problema è che il rendistato è schizzato verso l’alto. Per la scadenza più breve (1 anno/1 anno e 6 mesi) ha superato il 2,6%. Per le scadenze più lunghe è arrivato fino al 4,5%. Insomma, l’anticipo del Tfs-Tfr da parte delle banche costa oggi, almeno il 3%. E qui arriva l’Inps.
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