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Stipendi gennaio più alti, chi guadagna dal taglio del cuneo. Le fasce e gli incrementi

Le buste paga più pesanti a gennaio per chi prende fino a 1.923 euro al mese

Stipendi gennaio più alti, chi guadagna dal taglio del cuneo. Le fasce e gli incrementi
Stipendi gennaio più alti, chi guadagna dal taglio del cuneo. Le fasce e gli incrementi
di Luca Cifoni
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 30 Gennaio 2023, 00:50 - Ultimo agg. : 31 Gennaio, 09:43
4 Minuti di Lettura

Arriva nel cedolino dello stipendio di gennaio il taglio dei contributi previdenziali previsto dalla legge di Bilancio. Un intervento impegnativo per il bilancio pubblico (il costo si avvicina ai 5 miliardi di euro) che si trasforma in un incremento effettivo per chi guadagna fino a 1.923 euro mensili e ha diritto ad una riduzione di tre punti dell’aliquota contributiva: il beneficio lordo rispetto alla normativa precedente sale per questo livello di reddito a 58 euro.

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Effetto cuneo, primi scatti

Per chi ha una retribuzione superiore, fino alla soglia dei 2.692 euro, risulta invece confermato lo sgravio di due punti già in vigore lo scorso anno, che arriva ad un massimo di 54 euro sempre in termini lordi.


LE REGOLE
La circolare dell’Inps della scorsa settimana ha definito tutti gli aspetti delle nuove regole, che quindi diventano operative con i pagamenti di gennaio in corso in questi giorni. Sono inclusi tutti i dipendenti pubblici e privati, con l’eccezione dei lavoratori domestici (che hanno una normativa specifica e aliquote contributive più basse). Il taglio riguarda la quota di contribuzione a carico del lavoratore, fissata per la componente previdenziale al 9,19 per cento: scenderà quindi al 6,19 per cento fino alla soglia dei 1.923 euro mensili e al 7,19 per chi non supera i 2.692. Va ricordato che tutto ciò non avrà impatto sulle pensioni future degli interessati: la legge prevede esplicitamente che siano calcolate come se il versamento fosse pieno.


Vediamo quindi cosa succede ai vari livelli di reddito. In generale, i contributi non più da versare, che venivano “ritagliati” dalla retribuzione lorda riconosciuta dal datore di lavoro, andranno ad incrementare quest’ultima. Il beneficio netto è però un po’ più contenuto, per effetto dell’imposta progressiva che ne assorbe una parte.
Come già accennato, se lo stipendio mensile non supera i 1.923 euro lordi (corrispondenti a 25 mila annuali su 13 mensilità sempre in termini lordi) la riduzione è di 3 punti. Su un compenso non elevato, ad esempio di 1.200 euro al mese, vuol dire un vantaggio di 36 euro, contro i 24 in vigore in precedenza. Il guadagno netto è di circa 28 euro, ipotizzando tredici mensilità. A quota 1.900 euro, quindi in prossimità della soglia, ci sono 57 euro lordi, in più (invece che 38) che diventano però 38 netti. Questa è la fascia retributiva che ottiene il beneficio più consistente. Al di sopra lo sconto (analogo a quello già in vigore) riparte da circa 40 euro: questo è l’incremento lordo per chi guadagna 2 mila euro, che ne avrà 26 netti in più, sempre in confronto alla situazione in cui l’esonero contributivo non era in vigore. Con 2.692 mensili (ovvero 35 mila all’anno) se ne ottengono 54 lordi in più, corrispondenti a circa 30 netti.


L’Inps ricorda che il diritto all’esonero è calcolato su base mensile: vuol dire che se in un certo periodo di paga si superano le soglia, il beneficio sarà ridotto (passando da tre a due punti) oppure scomparirà del tutto. Con qualche effetto indesiderato. Supponiamo che un dipendente con una retribuzione vicina alla soglia dei 2.692 euro a gennaio si ritrovi il mese successivo con un importo più alto del 2 per cento, perché ha ricevuto nel frattempo un piccolo aumento o perché ad esempio ha svolto del lavoro straordinario. La sua retribuzione effettiva risulterà però uguale o anche leggermente inferiore a quella precedente, perché lo scatto dell’aumento nominale gli farà perdere il diritto al taglio di due punti; compensando in negativo e quindi annullando il miglioramento teorico. In caso di incremento maggiore il beneficio ci sarà ma risulterà comunque ridotto rispetto a quanto atteso.


L’OBIETTIVO
La riduzione dei contributi era stata introdotta in misura limitata (0,8 per cento) dal governo Draghi nel primo semestre del 2022, e poi portata a due punti nella seconda parte dell’anno. L’attuale esecutivo ha confermato per tutto il 2023 lo sgravio, incrementandolo appunto per chi guadagna fino a 25 mila euro lordi l’anno. Il traguardo dichiarato è portarlo nel corso della legislatura a cinque punti: naturalmente andranno trovate ingenti le risorse finanziarie necessarie, non per un solo anno ma in modo strutturale. Sarà affrontato poi il tema della distribuzione del beneficio tra il lavoratore e il datore di lavoro (a carico del quale c’è normalmente un’aliquota contributiva del 23,81 per cento): l’obiettivo politico è riconoscere due terzi del taglio al dipendente e un terzo all’azienda.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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