Gros-Pietro: «Il Sud sta già cambiando, ora è serbatoio d'innovazione»

Gros-Pietro: «Il Sud sta già cambiando, ora è serbatoio d'innovazione»
di Nando Santonastaso
Sabato 18 Settembre 2021, 08:45 - Ultimo agg. 18:05
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Presidente Gros-Pietro, l'Italia che non riparte senza il Mezzogiorno è solo uno slogan o già una direzione di marcia seria e concreta?
«Guardiamo ai fatti più che alle enunciazioni risponde l'economista Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Gruppo Intesa Sanpaolo e i fatti ci dicono che il Mezzogiorno sta cambiando. Cresce il numero delle imprese: a giugno 2021 rispetto a giugno 2020 si è registrato un aumento dell'1,8%, il doppio della media Italia nello stesso periodo. Il Sud è anche un'area di maggiore presenza di imprenditorialità giovanile: 10% contro l'8,4% della media nazionale. E rispetto al 2014 il Sud ha altresì ha visto crescere del 52% il numero delle imprese innovative, l'Italia del 34%».

Si potrebbe obiettare che il gap era talmente elevato
«Certo, ma l'aspetto più importante è che la crescita è avvenuta più velocemente. Ed è un dato assai significativo anche per il nostro Gruppo, prima banca del Mezzogiorno grazie alla prestigiosa eredità del Banco di Napoli, già banca di emissione, radicata nei territori meridionali e punto di riferimento anche per l'area del Mediterraneo. Da sottolineare che Napoli è la più grande città mediterranea ed una grossa realtà marittima. Non a caso, Intesa Sanpaolo ha un Centro di ricerca sull'economia marittima e sul Mezzogiorno, come SRM, con sede a Napoli. Non è stata una scelta casuale: a nessuno sfugge che per la loro posizione, oggi l'Italia e Napoli in particolare possono diventare la piattaforma più importante per i commerci nel Mediterraneo, visto che la maggior parte delle merci viaggia per mare e che nei porti del Sud si concentra quasi la metà del trasporto marittimo italiano».

Il Pnrr ha colto queste potenzialità, secondo lei? O bisogna fare i conti con limiti strutturali o culturali invalicabili?
«I limiti della burocrazia, ad esempio, sono oggettivamente un ostacolo importante, e non solo per il Mezzogiorno. Ma il Pnrr è una grande occasione perché rappresenta per l'Italia una risorsa aggiuntiva importante: oltre 200 miliardi da spendere in 5 anni, ai quali la nostra banca affianca un piano di sostegno ai finanziamenti per oltre 400 miliardi. Nel Pnrr il Mezzogiorno ha una dotazione di 82 miliardi, il 40% del totale, che dovranno essere investiti soprattutto nelle transizioni digitale ed ecologica, dove il Sud ha molte opportunità di sviluppo.

Non dimentichiamo che stiamo parlando di un'area che da sola corrisponderebbe all'ottavo Paese manifatturiero d'Europa, con settori di punta come l'automotive, laerospazio e il farmaceutico, che certamente saranno tra i più sostenuti dal Pnrr».

Ma c'è ancora spazio per una prospettiva di sviluppo industriale sostenibile del Mezzogiorno?
«Lo sviluppo industriale è già in atto nel Mezzogiorno. C'è, forse, una percezione ritardata delle tendenze, ma se guardiamo all'elevato tasso di imprenditorialità giovanile e alla forte spinta agli investimenti in innovazione, dichiarati dal 34% delle imprese meridionali negli ultimi tre anni, si comprende bene il senso del cambiamento. Molti forse non sanno che il Mezzogiorno registra un'alta propensione verso le discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), cioè quelle più tecnologiche e innovative, che sono scelte dal 25,3% dei giovani, oltre la media nazionale».

Cosa vuol dire, allora, per una grande banca come Intesa Sanpaolo puntare sul Mezzogiorno?
«Le rispondo con numeri a mio avviso molto significativi. In Italia noi raccogliamo in media il 22% della raccolta di tutto il sistema bancario. Un po' meno nel Mezzogiorno, il 18%, ma per quanto riguarda gli impieghi in Italia siamo al 22% mentre al Sud arriviamo al 24%. E con i mutui siamo al 32% rispetto al 30% sul totale Italia. È la dimostrazione che non solo crediamo nello sviluppo di quest'area ma ci stiamo lavorando concretamente: non a caso il nostro programma per l'attuazione del Pnrr coinvolge tutte le articolazioni della banca, ulteriormente rafforzatasi nel Sud con le recenti acquisizioni di altri istituti».

È migliorato il clima di fiducia delle imprese verso le banche e più in generale verso le prospettive del Paese post pandemia?
«I dati sono molto evidenti. Da economista, sin dalle sue prime fasi avevo avvertito di non confondere questa crisi con quelle precedenti, di natura finanziaria o ciclica. C'era l'effettiva possibilità di un rimbalzo, attribuito in gran parte al basso livello economico toccato nel 2020, dal quale non si poteva che risalire. In realtà si dimentica che già nel terzo trimestre 2020 la produzione industriale era aumentata del 30%. Voglio dire che quando si toglie il divieto di produrre tutto torna al livello precedente, anzi si corre di più per recuperare gli ordini inevasi. Ora però dobbiamo evitare di perdere la capacità di crescita veloce acquisita, ben sapendo che non potremo continuare ogni anno a crescere del 6%. La fiducia e le opportunità ci sono, pensi solo agli investimenti che dovranno essere fatti a livello mondiale per arrestare il cambiamento climatico, ma a coglierle saranno soprattutto gli imprenditori più agili. E il nostro Paese ne è ricco».

I giovani del Sud e le competenze sono un binomio indispensabile: come tutelarlo?
«Noi abbiamo rapporti di collaborazione con le principali Università del Mezzogiorno e sosteniamo corsi di formazione, dalla loro progettazione fino al collegamento dei giovani con il mondo del lavoro. L'attività bancaria sta cambiando rapidamente e sta diventando sempre più di tipo Stem, basata cioè sull'intelligenza artificiale e lelaborazione dei dati, sul digitale e la connessione da remoto. Ecco perché abbiamo bisogno sempre più di ingegneri e di tecnologi, ma anche di scienziati sociali».

E, come dimostra il suo recente intervento a Napoli all'iniziativa di Materias, una grande banca non può ignorare nemmeno la ricerca.
«Esattamente. La ricerca è alla base dell'innovazione e l'innovazione è il più grande motore della crescita e completa il ciclo della conoscenza. Gli operatori finanziari che lavorano nell'innovazione trasformano le buone idee, ad esempio, in start up e contribuiscono alla più ampia diffusione e adozione dei risultati, che genera il vantaggio sociale. E' quanto abbiamo deciso di fare a Napoli investendo in Materias, ovvero in una società che aiuta le altre società di ricerca a far diventare innovazione le invenzioni. Con la Federico II e il professor Luigi Nicolais abbiamo trovato le competenze giuste per andare avanti e accrescere le sinergie con i centri di ricerca delle città in cui ci sono nostre filiali».

Quali delle riforme annunciate dal governo è più necessaria per il Mezzogiorno?
«Tutte sono importanti, come quella della giustizia perché avere la certezza del diritto è fondamentale per un Paese. Ma per il buon funzionamento della macchina economica la riforma delle pubbliche amministrazioni è decisiva. Pensi che in passato alcune delocalizzazioni di industrie dall'Italia sono avvenute anche a causa della maggiore certezza legale e dei minori tempi di fattibilità, indispensabili per competere sul mercato. Ecco perché è fondamentale per l'Italia togliersi i ceppi che si è messa ai piedi».

Qual è il pericolo più grande, oggi, che il Sud deve assolutamente evitare?
«La rassegnazione e l'inerzia. Un profilo tipico di alcuni giovani del Mezzogiorno è quello di una grande intelligenza e vivacità intellettuale che non trova stimoli adeguati e perciò non sviluppa tutto ciò che è nelle sue potenzialità. Se messi nella giusta condizione i giovani del Meridione garantiscono livelli di performance elevati, come dimostra il fatto che sono molto richiesti in altri Paesi. I grandi cambiamenti verso cui andiamo incontro nel mondo preparano un ambiente davvero attraente per questo tipo di personalità inespresse. Proprio per questo dobbiamo impedire che la crescita delle migrazioni diventi un fenomeno irreversibile: tocca al Paese mettere i giovani del Sud in condizione di restare e di esprimere tutti i loro talenti».
 

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