Dall'Ilva alle Zes: il decalogo delle sfide per rilanciare Sud e Italia

Dall'Ilva alle Zes: il decalogo delle sfide per rilanciare Sud e Italia
di Nando Santonastaso
Lunedì 1 Marzo 2021, 00:00 - Ultimo agg. 12:47
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C’è un Mezzogiorno che, vuoi o non vuoi, entra di diritto, per così dire, nell’agenda quotidiana del governo. Non solo per nodi antichi e strutturali ancora non sciolti o accresciuti dalla pandemia (la povertà in crescita, i redditi in calo, l’emergenza lavoro per giovani e donne, le infrastrutture carenti, l’incubo della spesa storica che impedisce persino di assumere assistenti sociali, come documentato dal Mattino, o di aprire nuovi asili nido). Ci sono anche questioni, come il futuro dell’ex Ilva di Taranto, il più grande polo dell’acciaio d’Europa, o l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, come l’eolico di cui il Sud copre il 97% del totale, che impattano “naturalmente” su ogni programma di sviluppo del Paese. Perché da qui (ma anche da altre priorità, come vedremo), passa una buona fetta della credibilità nazionale sull’utilizzo delle risorse del Next generation Eu, l’ultima chiamata per ridurre le disuguaglianze e rilanciare il Mezzogiorno, e con esso tutta l’Italia visto che ormai è evidente che i due obiettivi sono interconnessi tra di loro. Ecco un potenziale decalogo delle dieci sfide che il Sud, e quindi l’Italia, non può perdere. 

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1. EX ILVA
La Svimez ha proposto di recente che i fondi del Recovery Plan siano destinati a «una riconversione produttivo-ecologica incentrata sugli investimenti verdi nel Mezzogiorno, a partire dall’ex Ilva di Taranto», undicimila addetti compreso l’indotto. Alla base ci sono dati che sarebbe il caso di memorizzare: perché se l’impianto chiudesse, e il dubbio rimane dopo le ultime vicende, l’impatto negativo sul Pil del Paese sarebbe di 3,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi concentrati al Sud e il resto al Centro-nord. Ma la strategicità di Taranto per l’intera filiera siderurgica e industriale è tale da far prevedere conseguenze disastrose per tutto il Paese. 

2. LE RINNOVABILI
Le fonti energetiche “made in Sud”, dall’eolico al solare, sono una ricchezza assoluta per il Paese.

Lo sanno bene le maggiori società nazionali, da Enel a Snam e a Terna, che hanno già presentato investimenti multimilionari per accrescere la produzione “verde” e attuare la transizione energetica. Per di più lo stesso premier ha già indicato nel rafforzamento delle rinnovabili uno degli obiettivi della transizione ecologica del Paese, in linea peraltro con l’indirizzo green dell’Europa. Ma essere la “riserva energetica” del Paese non può essere solo una medaglia di latta: finora il Piano energetico nazionale ha ignorato la convenienza di investire in quest’area, e lo stesso vale anche per l’idrogeno. Un paradosso sconcertante, a dir poco.

3. LA DECONTRIBUZIONE
Il taglio del 30% dei contributi a carico delle imprese meridionali, sbloccato per tutto il 2021 dal governo e dall’Ue dopo intoppi di natura burocratica, è una delle più significative novità ereditate dal governo precedente, grazie soprattutto all’ex ministro per il Sud Provenzano. Ma ora bisogna renderlo strutturale, garantirne cioè la durata fino al 2029, con quote a scalare come indicato anche dall’attuale legge di Bilancio. Il problema si riproporrà quando l’Europa, che deve dare l’ok, tornerà al regime ordinario, riproponendo cioè lo stop agli aiuti di Stato. E intanto c’è già una richiesta formale da parte delle Regioni del Nord di estendere anche al Settentrione la misura.

4. I FONDI EUROPEI
L’accelerazione di spesa del 2020, nonostante la pandemia, è un buon segnale ma nonostante il rispetto dei target concordati con Bruxelles, il Sud nel suo complesso è fermo al 42% delle rendicontazioni. Ed entro il 2023 dovrà certificare spese per altri 20 miliardi di euro, co-finanziamento nazionale compreso. Che sono sicuramente tanti e andranno comunque ad aggiungersi a quelli straordinari già stanziati dall’Ue per la ripresa post-Covid, come gli 8 miliardi del React Eu che dovranno essere spesi per la coesione territoriale sul totale di 11 miliardi assegnati all’Italia. Per farcela bisogna necessariamente irrobustire la macchina amministrativa locale, strozzata dai tagli al personale degli ultimi 15-20 anni: nella legge di Bilancio sono previste 2800 assunzioni al Sud di personale con specifiche competenze, accelerare la selezione sarebbe una risposta convincente.

5. LA SPESA
Crollata quella per investimenti al Sud di quasi il 45% negli ultimi 15 anni, c’è solo l’imbarazzo della scelta per riportarla su. Il Next generation Eu è la strada maestra ma a patto che si riconoscano limiti e ritardi da eliminare e non si pensi di colmarli partendo dalla spesa storica. Sarebbe davvero il colmo dopo che è stato dimostrato cosa sta costando al Mezzogiorno questo assurdo criterio, a cominciare dalla penalizzazione inflitta ogni anno a scuola e sanità. Ma il rispetto del percorso imposto dalla Costituzione (l’uguaglianza dei cittadini e l’obbligo di perequazione delle risorse pubbliche per sostenere le aree più deboli) passa anche per la piena applicazione della legge che riserva il 34% della spesa ordinaria dei ministeri al Sud. Legge inapplicata perché manca ancora il Dpcm che deve fissare le regole per il monitoraggio annuale della ripartizione, insomma manca l’anello decisivo della catena. È ora di assicurarlo. 

6. LE INFRASTRUTTURE
L’alta velocità al Sud è anche uno degli obiettivi del governo Draghi. Ma è evidente che per portarla anche in Sicilia occorrerà mettere mano al Ponte o tunnel sullo Stretto, superando ambiguità e ipocrisie. La sostenibilità, parola chiave e non a caso introdotta dal ministro Giovannini nella dicitura stessa del dicastero dei Trasporti, vuol dire anche accelerare progetti già in cantiere (dalla Napoli-Bari alla statale Jonica) che permetteranno al Sud di voltare pagina. Serve un impegno anche formale per anticiparne la conclusione rispetto alle scadenze previste: perché il Sud collegato al resto del Paese non è solo un dovere ma l’unico mezzo possibile per ridurre il divario. 

7. IL LAVORO
Le donne del Sud hanno quasi venti punti di ritardo dalle donne del Nord quanto a posti di lavoro occupati. E la disoccupazione giovanile supera stabilmente il 30%, anche qui venti punti oltre la media nazionale. Investire in competenze, ridurre la dispersione scolastica e con essa la povertà educativa, rafforzare gli Its e le infrastrutture immateriali (tablet e pc in primis) è solo l’inizio del percorso. Perché il grosso dipende sempre dalle imprese, favorite al Sud dagli sgravi triennali per le nuove assunzioni, e soprattutto da quelle che si riuscirà ad attrarre qui: la sfida da vincere è questa.  

8. LE ZES
È il passaggio successivo al tema della capacità di attrarre nuovi investimenti. Vi dice niente l’acronimo Zes? In tutto il mondo Zone economiche speciali è sinonimo di crescita e di sviluppo dei Paesi collegati al mare, dalla Polonia alla Cina. Solo nel Mezzogiorno le Zes sembrano ancora avvolte in una nebbia che nessuno sembra volere o potere diradare.

9. LE PMI
La crescita dimensionale resta decisiva perché la sfida del digitale impone aumento di competenze e di sbocchi internazionali. I piccoli senza prospettive diverse dal mercato interno, rischiano la loro stessa sopravvivenza. Al Sud però c’è anche un altro problema: dalla crisi di liquidità, gestita finora con le garanzie statali, si rischia di passare ad una crisi di solvibilità che può compromettere il futuro anche delle aziende che possono riprendersi. Servono strumenti ad hoc e subito perché il tempo delle scelte è adesso.

10. L’INNOVAZIONE
L’idea degli ecosistemi dell’innovazione, la possibilità cioè di replicare in tutto il Sud il modello di San Giovanni a Teduccio con l’incrocio tra ricerca universitaria e colossi delle tlc e del digitale, ha tutte le carte in regola per funzionare. E sarebbe decisiva per rinsaldare la rinnovata attrattività degli atenei meridionali che nell’attuale anno accademico hanno visto crescere gli iscritti di ben 11mila unità. Certo, molto è dipeso dalla pandemia e dalla limitata voglia di studiare o frequentare i corsi lontano da casa. Ma garantire partner internazionali per costruire un profilo di laureati adatto alle esigenze delle industrie più avanzate sembra una scommessa vincente. 
 

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