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Superbonus, bruciati oltre 110 miliardi: così il Mef è corso ai ripari

Rischio voragine nel bilancio dello Stato. Giorgetti ha imposto una misura radicale

Superbonus, bruciati oltre 110 miliardi: così il Mef è corso ai ripari
Superbonus, bruciati oltre 110 miliardi: così il Mef è corso ai ripari
di Andrea Bassi
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 16 Febbraio 2023, 23:58 - Ultimo agg. : 18 Febbraio, 08:06
4 Minuti di Lettura

Poter effettuare lavori di ristrutturazione gratis. Comprare una caldaia o un condizionatore pagandoli la metà. Rifare gli infissi di casa senza preoccuparsi troppo dei costi. Lo sconto in fattura è stata una delle misure probabilmente più apprezzate da famiglie e consumatori, ma anche più controverse.

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Superbonus, bruciati oltre 110 miliardi: così il Mef è corso ai ripari

A decretare la fine della “cessione del credito”, come si chiama in gergo tecnico, non sono state le truffe (oltre 6 miliardi quelle scoperte) o il contributo che probabilmente la misura ha dato all’inflazione (nessuno più negoziava i prezzi con le imprese visto che il conto finale era a carico dello Stato). Paradossalmente, a decretare la fine dello sconto in fattura è stato il suo successo. Una cavalcata insostenibile per le casse di Stato. 


I CONTEGGI DEL TESORO
Secondo i conteggi del Tesoro, fatti tirando una linea al 31 dicembre dello scorso anno, gli sconti in fattura già concessi ammontano a 105 miliardi di euro. A marzo è probabile che questa somma salga oltre 110 miliardi. Non è un problema di debito pubblico e nemmeno di deficit, come del resto ha confermato non più tardi di due giorni fa il capo delle statistiche di Eurostat, Luca Ascoli, in audizione in Parlamento. Il problema è la cassa dello Stato che rischia di essere prosciugata dalle compensazioni dei bonus. Basta vedere quello che è successo con le banche. Gli istituti di credito non hanno più “spazio fiscale” per comprare nuovi crediti dalle imprese che hanno praticato lo sconto in fattura ai propri clienti. Cosa significa questo? Che le banche pagheranno i loro debiti con il Fisco usando questi crediti. Dunque senza versare nemmeno un euro nelle casse dello Stato. Ma stipendi pubblici e pensioni non possono essere pagati con “moneta fiscale”. E qui sta il secondo punto centrale. 

 


I bonus, aveva spiegato qualche tempo fa in Parlamento il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, «non sono moneta». O meglio, non sono moneta fiscale, una moneta parallela all’euro con cui pagare qualsiasi tipo di debito nei confronti dello Stato. Che poi era l’idea del Movimento Cinque Stelle e del governo Conte quando la misura fu introdotta. Un progetto che Mario Draghi, da ex banchiere centrale, aveva avversato in tutti i modi ponendo paletti crescenti allo sconto in fattura durante il suo governo, del quale anche l’attuale ministro Giorgetti faceva parte. La stretta principale aveva riguardato la possibilità di cessioni ulteriori dei crediti dopo il primo sconto in fattura. Una misura che in un solo colpo aveva di fatto chiuso il mercato lasciando in un limbo migliaia di imprese con i cassetti fiscali pieni di crediti ormai impossibili da scontare con le banche. Da quel momento in poi il governo Draghi prima, e quello Meloni poi, si sono trovati nella scomoda posizione di dover salvare le imprese messe in crisi dalla stretta sulla cessione dei crediti, e dall’altro lato dover mettere in sicurezza i conti pubblici dall’aumento esponenziale delle compensazioni non solo delle imposte, ma anche dei contributi previdenziali. Già a novembre dello scorso anno, quando il governo Meloni ha tagliato i tempi per poter usufruire del 110 per cento, Giorgetti avrebbe voluto mettere un punto agli sconti in fattura. Ma i tempi non erano sembrati maturi. Il compromesso, era stato di provare a bloccare il Superbonus lasciando la detrazione piena del 110 per cento soltanto ai condomini che avessero presentato la Cilas, la certificazione asseverata di inizio attività, entro il 25 novembre. Una misura che, evidentemente, non è bastata a fermare la forsennata corsa dei bonus. 


L’EPILOGO
Così si è arrivati alla decisione di ieri. Drastica, draconiana. Giorgetti ha voluto tirare questa volta una linea netta, un prima e un dopo. Dal giorno in cui il decreto sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, lo sconto in fattura non esisterà più. Si tornerà al vecchio meccanismo delle detrazioni d’imposta. Chi ristruttura un’abitazione, compra degli infissi, una pompa di calore, una caldaia, dovrà pagare di tasca l’intervento. Poi potrà scontarlo dall’Irpef attraverso la propria dichiarazione dei redditi, ma in nessun caso potrà cedere il credito all’impresa o alla banca. Il decreto però contiene una clausola di salvaguardia. Chi ha già presentato tutte le carte, e le ha in regola per poter avviare i lavori, potrà ancora usufruire dello sconto in fattura. Quindi i condomini che hanno approvato i lavori e depositato le Cilas entro il 25 novembre potranno andare avanti con le vecchie regole. 
Per tutti gli altri l’era della cessione dei crediti fiscali è definitivamente tramontata. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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