Come si vive nell'economia di guerra? Dalla spesa ai viaggi, domande e risposte

Come si vive nell'economia di guerra? Dalla spesa ai viaggi, domande e risposte
di Nando Santonastaso
Sabato 12 Marzo 2022, 23:59 - Ultimo agg. 14 Marzo, 07:14
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Si può essere in un’economia di guerra anche senza partecipare direttamente a un conflitto bellico? La risposta sembra scontata a giudicare dalle file ai distributori di carburante, dagli scioperi annunciati di autotrasportatori e pescatori zavorrati dai rincari di benzina e gasolio, e dagli scaffali vuoti dei supermercati con il connesso razionamento di prodotti di prima necessità (zucchero, farina, lievito e olio di semi, ad esempio) deciso da alcuni gruppi della grande distribuzione per evitare la corsa all’accaparramento. Come si prospetta allora il 2022 degli italiani in uno scenario che, pur non autorizzando per ora pessimismi e psicosi di ogni tipo, ci obbliga comunque a “prepararci” come dice il premier Draghi? 

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Viaggeremo meno?

Meno spostamenti in auto e soprattutto per turismo: le previsioni 2022 parlano di 533 euro in più a famiglia per un’auto a benzina e di 569 euro per quelle a gasolio, rincari che probabilmente si stabilizzeranno al netto dell’ondata speculativa ma nessuno, al momento, è in grado di prevedere quando. In salita anche il costo dei biglietti per aerei e navi, trascinati dai rincari energetici: ma è l’intera domanda di servizi turistici che sarà quasi certamente rivista al ribasso. È anche possibile, inoltre, che per fronte alla stangata di benzina e gasolio sulla mobilità dei propri dipendenti, le aziende reintrodurranno massicciamente lo smart working, laddove ovviamente è possibile. La misura ha funzionato durante la guerra contro il Covid e non a caso la Cisl Funzione pubblica l’ha riproposta in alcuni territori forse anche per monitorarne l’eventuale estensione a tutto il Paese.

Cosa rincarerà di più?

Fare la spesa continuerà a costare di più. I prezzi di pasta e pane, spinti dall’inflazione, sono ulteriormente aumentati anche per via della riduzione dell’import di grano, soprattutto tenero, da Russia e Ucraina (ma anche l’Ungheria ora frena sull’export) e la tendenza durerà ancora per le prossime settimane. Già ora un kg di pasta è salito del 25% rispetto al 2021 ma potrebbe arrivare anche al 30%, secondo quanto teme Carlo Alberto Buttarelli, di Federdistribuzione. Pane, dolciumi ed altri prodotti derivati dal grano rischiano di costare il 10-15% in più, come sostiene Furio Truzzi, presidente di Assoutenti. Va peggio per l’olio di girasole, già introvabile: arrivava al 70% dall’Ucraina, ora è bloccato nei porti di Odessa e Mariupol, circondati dalle navi di Putin. L’Assitol, l’Associazione delle aziende olearie, avverte che ci sono scorte al massimo per una ventina di giorni. E c’è di più: con la guerra in corso, non si semina e dunque il prodotto finale rischia di mancare anche per il prossimo anno. Trend analogo per le conserve: a causa dei rincari dei trasporti e delle materie prime, alluminio in testa, si arriva al paradosso, come spiega Coldiretti, che già oggi si paga più la bottiglia che il pomodoro in essa contenuto. Nubi nere si addensano sul settore ittico: l’import di pesce è diminuito del 50% e anche il pescato locale inizia a scarseggiare perché il prezzo del gasolio è diventato insostenibile per i pescatori. 

Cos’è la stagflazione?

C’è il rischio della stagflazione, ovvero dell’effetto combinato di un ritorno alla recessione per via della debole spinta dei consumi e dell’inflazione galoppante (oltre il 6% su base annuale), con effetti pesanti sull’occupazione e sui salari. Per l’Italia non è una novità, ci è passata già negli anni Settanta con il costo della vita schizzato a livelli insostenibili per i ceti medi e bassi. Oggi, se arrivasse lo stop dell’Ue all’importazione di tutto il gas russo, le conseguenze non risparmierebbero il settore manifatturiero: le imprese rallenterebbero inevitabilmente la produzione perché gli sforzi del governo e dell’Ue di reperire fonti alternative non sarebbero coronati da successo immediato. Per l’Italia però una via di fuga ci sarebbe: se l’attuazione del Pnrr, che garantisce una solida base di investimenti al Paese anche quest’anno, non subirà frenate, l’impatto sul Pil sarà meno pesante. Ma naturalmente potrebbe essere vero anche il contrario come teme la Cgia di Mestre. Molto dipenderà dalle decisioni della Bce sui tassi: aumentarli rischia di frenare la crescita dell’economia perché prestiti e mutui sarebbero più cari per imprese e famiglie. 

Come tutelare i risparmi?

Come spiega il professore Giovanni Barone Adesi, docente all’Università della Svizzera italiana, intervistato da Firstonline, anche in un’economia di semi-guerra l’aumento dei tassi di interesse sembra inevitabile. Difficile mantenere la stabilità monetaria con i prezzi che salgono ma a soffrire saranno soprattutto, anche a medio termine, le Borse europee perché non ospitano i grandi produttori di materie prime. Prevedibile scenario: l’euro è destinato a deprezzarsi rispetto al dollaro dato che l‘economia europea è molto più esposta alla guerra in Ucraina. Per gli investitori si profila un anno sulle montagne russe: c’è chi consiglia l’azionariato cinese per investire sui mercati finanziari, ma il consiglio di sempre, mai come stavolta, potrebbe essere quello di non muoversi. 

Avremo spese di guerra?

Saranno inevitabili anche se l’Italia non partecipasse direttamente al conflitto insieme alla Nato. L’ultimo bilancio militare ha fatto lievitare per la prima volta la spesa a 26 miliardi all’anno. E alla luce dello scenario si potrebbe arrivare a circa 40 miliardi all’anno, a partire dal 2022, 14 miliardi in più all’anno fino al 2030. Per un Paese con un debito altissimo come il nostro c’è chi dà per scontata una stretta a sanità, scuola, pensioni, servizi pubblici. L’ipotesi è ovviamente tutta da dimostrare ma se l’Italia fosse realmente coinvolta in una guerra, l’incremento degli investimenti per la spesa bellica diventerebbe di gran lunga superiore a tutti gli altri, come la storia purtroppo insegna. Come pagare queste scelte? La teoria ricorda che i capitoli di spesa sono sempre i soliti quattro: le tasse, il debito pubblico, le donazioni e l’inflazione. 

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