Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria: «Il Sud chiede a gran voce di salvare gli incentivi»

Siamo rimasti colpiti dal fatto che il Mezzogiorno sia assente dalle bozze della manovra girate finora»

Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria
Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria
di Nando Santonastaso
Venerdì 2 Dicembre 2022, 07:00
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Presidente Grassi, il nuovo governo è al lavoro da poco più di un mese ed è riuscito a varare una Legge di Bilancio a tempo di record: le imprese sembrano però scettiche, perché?
«Come presidente del Consiglio delle rappresentanze regionali di Confindustria ho la possibilità di monitorare costantemente la pancia delle imprese e dunque dei territori rappresentati dalle 20 Confindustrie regionali risponde Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria -. Ed effettivamente, anche dopo l'ultima riunione del Consiglio è emerso un certo disagio sui contenuti, almeno in relazione alla bozza di testo che è circolata in questi giorni. E parlo di un disagio complessivo, non limitato a specifiche aree territoriali.

Di cosa, concretamente, parliamo?
«I territori sono sulla stessa linea del Presidente Bonomi, che ha delineato un quadro della manovra tra luci ed ombre.

Quindi bene che il Governo abbia colto la necessità di dare priorità ai temi energetici e all'equilibrio dei conti, ma ad oggi le imprese sono estremamente preoccupate per la mancanza di politiche di sviluppo a sostegno degli investimenti e della crescita. Sono stati introdotti interventi di modesta caratura sul cuneo fiscale, quelli sulle pensioni sono un'ennesima deroga alla legge Fornero e ancora slegati da un disegno di riforma organico, e sul Reddito di cittadinanza si sposta il problema in avanti senza prevedere misure che possano favorire nuova occupazione. In estrema sintesi, la manovra manca di visione».

Cosa vi sareste aspettati?
«Che non si rinunciasse a misure che hanno avuto un impatto molto positivo. Penso a industria 4.0 e al tempo stesso alla proroga degli incentivi per gli investimenti in corso che sono stati paralizzati dal caro energia e dallo shortage oltre che dall'aumento dei costi delle materie prime. Per noi poi sarebbe stato opportuno reintrodurre il patent box così com'era e non rinunciare ad incentivare nuovi brevetti in un'era in cui l'innovazione digitale progredisce a velocità impressionante. Confindustria, peraltro, e lo dirà oggi in audizione alla Camera il presidente Bonomi, sta lavorando ad una serie di proposte con le relative misure di copertura economica per contribuire a migliorare la manovra ed evitare che l'assenza di misure finalizzate alla crescita penalizzi soprattutto il Mezzogiorno, l'area meno sviluppata del Paese e dell'Europa comunitaria».

La Svimez ha parlato di rischio di aumento del divario e il governo, attraverso il ministro Fitto, ha condiviso quest'analisi annunciando di voler rivedere governance e gestione dei fondi europei e nazionali: che ne pensa?
«Senza alcun intento polemico, siamo rimasti colpiti dal fatto che il Mezzogiorno sia addirittura assente dalle bozze della manovra girate finora. Di sicuro il Sud ha smesso da tempo di stare con il cappello in mano e, al contrario, per crescere chiede di essere inserito nel quadro di una chiara e condivisa strategia di sviluppo nazionale, capace di contrastare ed eliminare i grandi attuali divari territoriali e sociali rispetto al resto del Paese. Il Mezzogiorno non vuole prebende o forme di assistenzialismo, chiede investimenti, investimenti e ancora investimenti! La sensazione, almeno in questa fase, è che invece questa strada non sia ancora stata intrapresa».

A cosa si riferisce, presidente?
«Ad esempio, alle incertezze sul futuro della Decontribuzione Sud che sebbene sia già stata resa residuale nel quantum da precedenti provvedimenti di altri governi resta, sia pure parzialmente, una compensazione dei grandi squilibri ai quali è costretto chi produce e vive in quest'area, nelle more del riallineamento dei divari. Ci dicono che il ministro del Lavoro confidi di riuscire a confermarla o a prorogarla sulla scia della proroga a tutto il 2023 del quadro temporaneo degli Aiuti di Stato, a causa della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze. Certo, mi lasci fare una provocazione: sarebbe paradossale che chi lavora al Sud debba augurarsi che continui la guerra».

Il Pnrr però riserva il 40% delle risorse al Mezzogiorno, spenderle bene può e deve essere la vera svolta, non è così?
«Non c'è dubbio ma al di là del rispetto dei tempi di execution del Pnrr, il Mezzogiorno chiede a gran voce che tutte le misure di sostegno oggi funzionali alla riduzione dei divari, vengano mantenute fino al 31 dicembre 2026, che poi attualmente è la data di scadenza del Piano stesso. Penso ad esempio al Credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno e al credito d'imposta per le aree Zes, l'unico strumento strategico integrato di politica industriale al momento esistente perché mette in rete le Zes e e le Zls che riguardano i porti del Nord, unisce le filiere produttive di manifattura, logistica ed economia del Mare, che valorizza le aree retroportuali ed avvicina le grandi conurbazioni urbane in particolare al Sud. Non è pensabile che dopo avere insediato i commissari straordinari di governo e avviato lo sportello unico per semplificare le autorizzazioni procedurali, ora si corra il rischio di vedere interrotto il sostegno anche a tutti gli investimenti in corso. Il governo e il Parlamento devono impedirlo con determinazione. Giova all'Italia un Mezzogiorno che esca dal ruolo di chi richiede assistenza ad oltranza e si proponga come soggetto attuatore e presidio di legalità per ogni forma di investimento che si riesca ad attrarre».

Qual è il rischio di fondo?
«Di annegare nella narrazione che penalizza da sempre e volutamente i territori meridionali e che logiche sbagliate e mancanza di visione trasformino il Pnrr da grandissima opportunità a elemento compensativo e non addizionale alle politiche nazionali. Proprio com'è già accaduto per i fondi strutturali europei del passato. Sarebbe un errore imperdonabile». 

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