Lavoro in cambio di vitto e alloggio all’estero:
come funziona il workaway

Nel 2002 Milward ha dato vita alla sua piattaforma su internet

Il workaway
Il workaway
di Ferdinando Gagliotti
Lunedì 30 Gennaio 2023, 09:39
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Girare il mondo in cambio di aiuto: non è utopia, è possibile ed è anche semplice. È il workaway, un network mondiale che si basa sullo scambio di ospitalità in cambio di aiuto nei lavori più svariati: dal baby-sitting al giardinaggio, dalla cura degli ambienti domestici all’insegnamento di nuove lingue.

«Viaggia in modo diverso, connettiti in modo globale», è il riassunto perfetto - che si legge sulla piattaforma ufficiale, workaway.info - di questa pratica nata nei primi anni Novanta, quando un australiano di nome David Milward, riconosciuto come suo fondatore, iniziò a spostarsi in giro per il mondo offrendo aiuto come ricompensa ai propri “host”. Nel 2002, Milward ha ufficialmente dato vita alla sua piattaforma su internet, ispirato dalle sue esperienze di viaggio.

«Workaway è una piattaforma che dà l’opportunità di trovare host in giro per il mondo - precisa Giulia Meta, creator e nomade digitale con 80 mila follower su Instagram e una lunga lista di viaggi alle spalle - disposti a ospitarvi in cambio di lavoro. Ciò significa loro forniranno vitto e alloggio, mentre chi cerca ospitalità dovrà garantire quelle quattro-cinque ore giornaliere di lavoro, di solito per cinque giorni a settimana. È un ottimo modo per viaggiare “gratis”, anche se gratuito in verità non è perché si offre lavoro.

Però piuttosto che pagare si fa un’esperienza culturale a tutto tondo, perché ciò che si va a fare lì va al di là dell’attività lavorativa. È una bella occasione per migliorare e implementare le proprie conoscenze linguistiche, ed entrare a contatto con tante nuove persone».

Di quali attività lavorative si parla? «I lavori richiesti sono molti e vari: si va dal babysitting alla costruzione e mantenimento di un’abitazione, dal giardinaggio – la richiesta è alta – alla gestione di fattorie. Ci sono anche attività di volontariato: basta andare sulla piattaforma e scorrere la lista dei lavori proposti. Io personalmente ho lavorato per due famiglie, a Tenerife e Gran Canaria: ho insegnato l’inglese ai loro bambini e tenuto in ordine la casa. Cose che non avevo mai fatto in vita mia: sono tornata a casa con un enorme bagaglio di novità, compresa la lingua locale. La lingua non è un problema in questo tipo di esperienze: l’importante è metterlo da subito in chiaro con l’host».

Da qui si immagina che questa attività sia ideale per i giovani, un po’ meno per gli altri. Ma non è proprio così. «Non c’è limite di età - continua Giulia, @metavagante sui social -, ho incontrato anche persone di una certa età reduci da questa esperienza, e mi hanno rivelato di averne tratto enormi benefici. Viaggiando ho incontrato workawayers di ogni età, che avevano fatto qualsiasi tipo di lavori: l’importante è non porsi mai limiti, essere sempre disposti a mettersi in gioco e ad adattarsi, qualità molto apprezzate dagli host».

Ma quindi, come si diventa un warkawayer? «Quando si crea un profilo sulla piattaforma – per iscriversi basta versare un contributo pari a 38 euro annui – bisogna specificare le proprie soft skills e mostrarsi aperti al cambiamento e alla novità, flessibili. Ci tengo sempre a specificare che il profilo deve essere sempre curato, un po’ come per il curriculum. Lo dico perché sono stata anche host: ho ricevuto centinaia di richieste e il profilo era il primo modo per scartare un po’ di persone in maniera rapida e capire se i candidati avevano soft skills che potevano essermi utili, se avevano avuto esperienze nel sociale o a contatto con altre persone, se erano disponibili a imparare una nuova lingua e tante altre cose. Per chi abbia voglia di aprire un profilo, sono pronta a fornire ulteriori spiegazioni tramite i miei canali social».

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«Il workaway mi ha aperto nuove prospettive - continua la creator - e mi ha fatto vedere i viaggi da nuovi punti di vista. Ho imparato innanzitutto che non serve così tanto – economicamente parlando – per viaggiare, perché l’ho fatto in modo praticamente gratuito per mesi. Ho fatto cose che non avrei mai fatto in vita mia: consiglio a tutti di fare questa esperienza, perché è estremamente formativa».

La piattaforma è sicura? Assolutamente sì, ma Giulia spiega come muoversi senza correre rischi. «Quando ci si interfaccia con nuovi host, consiglio di controllare se hanno già recensioni da parte di altri volontari, che sono il primo punto di riferimento che si può avere. Secondo, organizzare sempre una call con l’host prima di fissare il periodo in cui si decide di farsi ospitare. Bisogna sempre muoversi un po’ in anticipo: normalmente gli host cercano volontari disposti a stabilirsi per periodi abbastanza prolungati».

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