«Sud, 800mila posti a rischio ma arrivano 140 miliardi: è un'occasione storica»

«Sud, 800mila posti a rischio ma arrivano 140 miliardi: è un'occasione storica»
di Nando Santonastaso
Martedì 29 Settembre 2020, 12:00 - Ultimo agg. 17:47
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Nel vecchio gruppo c'erano soprattutto i dipendenti (anche in nero) di microimprese industriali o di aziende commerciali e dei servizi travolte dal doppio tsunami finanziario del 2009 e del 2011 e riemerse (in minima parte) senza più occupati: immaginate il titolare che rinuncia al commesso, all'impiegato o al contabile e si carica dei loro lavori. Un esercito di oltre 380mila unità, 200mila delle quali rimaste senza impiego da allora. Del nuovo gruppo, prodotto dalla pandemia e dalla conseguente crisi economica, rischiano invece di far parte altre 400mila persone: lavoratori stagionali del turismo e della ristorazione, soprattutto, ma anche addetti all'edilizia, dipendenti di aziende dell'automotive o stagisti dell'aerospazio. E almeno un 30% di autonomi, le partite Iva che pure, come documentato dal presidente Abi Patuelli al Mattino, hanno mostrato una certa vivacità usufruendo dei sostegni previsti dai decreti del governo. Scenari e previsioni, dall'Istat alla Svimez, a Srm, concordano nel ritenere che il Mezzogiorno rischia di pagare sul piano occupazionale un prezzo oscillante tra i 600mila e gli 800mila posti di lavoro in meno al sommarsi delle due drammatiche emergenze degli ultimi 12 anni.

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Vi fa riferimento ieri, con toni allarmati, nell'audizione davanti alle commissioni Bilancio e Politiche Ue del Senato sulle linee del Piano nazionale di ripresa e resilienza anche il ministro del Sud e della Coesione, Peppe Provenzano. Sono numeri impressionanti, quantunque non nuovi: la Svimez, attraverso l'audizione del direttore Luca Bianchi a inizio settembre, aveva ad esempio già calcolato un saldo negativo di ben 109mila occupati nel Mezzogiorno nel solo periodo compreso tra la metà del 2018 e il primo trimestre 2019, a fronte di un aumento di 47mila nuovi contratti nel Centro-Nord. Allora l'impatto del Covid-19 non c'era ma la sensazione di un diffuso peggioramento della condizione del lavoro al Sud era già abbondantemente chiara. E oggi che lo scenario economico sta migliorando, pur senza riuscire a compensare per intero il tonfo dei primi due trimestri, si rafforza la convinzione che la ripresa senza lavoro potrebbe scandire la prospettiva a breve e medio termine.

Un pericolo che non sfugge allo stesso Provenzano, impegnato non a caso a ribadire in audizione che «la coesione territoriale è la priorità del progetto per l'Italia», ovvero che senza Sud il Paese non ripartirà mai. E a documentare, dati alla mano, che con tutti i fondi aggiuntivi di investimento destinati al Sud dal 2021 al 2027, la svolta non solo è oggettivamente possibile m decisamente a portata di mano. Parliamo di qualcosa come 140 miliardi di euro, una somma a dir poco enorme.
 

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Il dettaglio. A fronte della quota di aiuti (grants) del Recovery Fund, pari a circa 65 miliardi, che almeno per il 34% devono essere destinati al Sud (anche se, ricorda il ministro, deve prevalere l'analisi dei fabbisogni di investimento che, in alcuni settori, come le infrastrutture, è anche superiore), «nelle pieghe del negoziato europeo abbiamo ottenuto una quota di risorse per la coesione senza precedenti spiega il ministro -. Sulla base delle stime di riparto e delle interlocuzioni con la Commissione, avremo complessivamente una quota di 43 miliardi di fondi strutturali europei per il ciclo 2021-2027, a cui vanno aggiunti il cofinanziamento regionale e nazionale che, parametrato al ciclo precedente, attiverebbe una quota di risorse per programmi operativi nazionali e regionali di circa 80 miliardi di risorse fresche. La gran parte è destinata allo sviluppo del Sud, una mole senza precedenti».

Dalla quota di aiuti del Recovery (esclusi i prestiti, loans) avremo almeno 25 miliardi, e la gran parte dei 10 miliardi di React-Eu insiste Provenzano -. E dai fondi strutturali (con il cofinanziamento), secondo il riparto attuale, circa 52 miliardi. Al Mezzogiorno è destinato l'80% del Fondo Sviluppo e Coesione, che per il prossimo ciclo 2021-27 cresce fino allo 0,6% del Pil, oltre 73,5 miliardi. Complessivamente, la spesa aggiuntiva attivabile al Sud raggiungerebbe circa 140 miliardi di euro, oltre l'1% del Pil nazionale in media annua. «Per la prima volta dagli anni della Golden Age quando la spesa per l'intervento straordinario non superava lo 0,8% del Pil nazionale abbiamo l'opportunità storica di coniugare sviluppo nazionale e coesione territoriale».

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Difficile insomma, dare torto al ministro quando spiega che «abbiamo le risorse, abbiamo gli strumenti: ora dobbiamo attrezzare la nostra macchina pubblica a realizzarli.
E dobbiamo suscitare le intelligenze dei luoghi, delle persone che li abitano, e che hanno il diritto di costruirsi il futuro. È la grande occasione dell'Italia. E finalmente, anche del Sud. Ora è compito di tutti, non solo del governo, lavorare per non sprecarla». È l'idea di una Pubblica amministrazione rinnovata non solo anagraficamente ma anche in termini di competenze il presupposto di questo cambio di passo: Provenzano propone assunzioni mirate per far crescere il livello di qualità e affidabilità delle amministrazioni specie a livello locale utilizzando le risorse straordinarie dell'Europa. Non sarà facile spuntarla in sede di ripartizione dei fondi ma indica una strategia: abituarsi a pensare e a progettare a medio e lungo termine superando la logica dell'emergenza sembra la risposta più credibile alle attese di chi rischia di non avere più lavoro, ben sapendo che di choc economici capaci di riassorbire subito 600-800mila persone al Sud non si intravede al momento alcuna traccia.

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