Poundworld ha 355 punti vendita nel Regno Unito (incluso il marchio Bargain Buys) e 5100 addetti, il cui posto di lavoro ora è fortemente a rischio. La catena ultimamente aveva un flusso medio di 2 milioni di clienti alla settimana, un numero quindi di tutto rispetto ma evidentemente non sufficiente a reggere l'urto della concorrenza feroce anche online e del rallentamento dei consumi alimentato dalla ripresa dell'inflazione e dai contraccolpi della Brexit.
Poundworld fu fondata nel 2004 e ha iniziato ad avere problemi 4-5 anni fa, anche sotto la pressione competitiva di altri net di commercio a bassissimo costo come Poundstretcher e Poundland. Ma è nell'ultimo biennio che i conti sono sprofondati stabilmente in rosso fino a perdite complessive per 22,5 milioni di sterline. Ora la mano passa a Deloitte, chiamata a gestire la l'amministrazione controllata, che per bocca della manager Clare Boardman esclude al momento il ricorso immediato alla chiusura di punti vendita e ai licenziamenti di fronte al collasso, confidando ancora in una prospettiva di stabilizzazione per trovare qualche acquirente: almeno «per una parte» del business.
Ma i precedenti, un pò in ogni settore del british retail, non confortano. È di pochi giorni fa l'annuncio del taglio di 31 dei 59 negozi della storica catena House of Fraser (commercio di qualità), dopo le analoghe ristrutturazioni lacrime e sangue di altri brand come Mothercare, Carpetright o - nella ristorazione - di Carlucciòs, pioniere del cibo italian style sull'isola.
Mentre la grande distribuzione punta sulle fusioni 'difensivè (in ballo c'è ora quella fra Sainsbury e Asda, gruppo Walmart). Senza dimenticare chi ha già chiuso i battenti tout court, mandando migliaia di persone a casa: solo quest'anno Maplin (elettronica) e Toys 'R' Us (giocattoli).