Qui! fallita, addio soldi per i pasti forniti e 10mila negozi in ginocchio

Qui! fallita, addio soldi per i pasti forniti e 10mila negozi in ginocchio
di Elena Romanazzi
Sabato 22 Settembre 2018, 08:30 - Ultimo agg. 11:53
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Isola G2, Centro direzionale Napoli. Si trova qui una delle sedi italiane della «Qui! Group», sinonimo di buoni pasto cartacei ed elettronici. Società un tempo solida con 2,4 milioni di utilizzatori dei quali 1,5 milioni privati e 900 pubblici. Un grande cartello al terzo piano del palazzo informa gli esercenti che chi volesse consegnare buoni pasto non deve farlo a Napoli ma deve spedirli nella provincia di Milano. La partita è chiusa. La storia del primo gruppo italiano fornitore di buoni pasto con una quota di mercato non indifferente è stata chiusa da una sentenza del tribunale di Genova (e poi Milano) sezione fallimentare il 7 settembre scorso. Fallita. Nessuna amministrazione controllata come richiesta dalla società ma curatori fallimentari nominati d'ufficio, una adunanza fissata per il prossimo 20 febbraio del 2019 durante la quale verrà analizzato lo stato passivo del gruppo e verranno fornite indicazioni a creditori e terzi su come mettersi in fila per ottenere il rimborso del dovuto.
 
Sul passivo della società i numeri che circolano sono spaventosi. Andiamo per ordine: 120 milioni l'esposizione nei confronti delle banche; altri 100 milioni nei confronti di una società americana; poi ci sono gli esercenti e l'ammontare in questo caso è incerto. Confesercenti parla di 193 milioni di esposizione nei confronti degli esercizi pubblici, ma potrebbero essere anche meno. Infine i dipendenti. Sono su tutto il territorio nazionale divisi tra diverse società sempre in qualche modo collegate al gruppo circa un migliaio di persone. Solo nella capofila, Qui! Group con base a Genova ci lavorano 161 persone. Gli altri sono divisi tra gli uffici di Torino (chiuso pochi giorni fa), Roma, Firenze, Venezia e Milano. Unica del Sud e della Campania, Napoli. Trenta persone in tutto. Quindici del commerciale e altrettanti della piattaforma informatica che appartiene ad altra società comunque collegata. Che fine faranno? All'ufficio del centro direzionale l'aria è aria mesta, poche parole, paura, incertezza ma sopratutto incredulità su quanto è accaduto. Una prima riunione al Mise che ha visto i rappresentanti sindacali chiedere sostegno non tanto con la Naspi quanto, piuttosto con l'utilizzo di una Cigs straordinaria (non prevista per contratti commerciali) non ha avuto un esito positivo. E dunque regna l'incertezza. «Fino ad oggi - spiegano all'ufficio di Napoli - ci hanno pagato. Almeno fino ad agosto». Ma a settembre con molta probabilità non verrà liquidato un soldo. Spiega Simona di Tullio, delegata Cgil welfare Company Srl (fa parte sempre della stessa galassia) a Inps e Inail è stata data la disdetta dei nominativi. Come dire che le lettere di licenziamento collettivo partiranno a breve e qualcuna è già stata inviata.

A livello nazionale i numeri degli esercizi commerciali che vantano crediti in base a quanto denunciato da Giancarlo Banchieri, presidente della Fiepet Confesercenti, sono 123 mila. In Campania si contano 9mila/10mila esercenti tra piccola e grande distribuzione, bar e ristoranti che hanno accumulato crediti su crediti malgrado l'appalto approvato da Consip a maggio per i ticket elettronici avesse un valore di ben 60 milioni. Il lotto 5, durato pochissimo, disdetto dopo lo scandalo. I clienti? Diversi. La Regione, le Poste, e poi Eni, Telecom, Fs, Agenzia delle Entrate.

Il meccanismo ad un certo punto si è inceppato. C'è chi aspetta solo da pochi mesi il saldo dei buoni ma anche chi attende la liquidazione del dovuto da più di un anno. Gregorio Fogliani responsabile della società si è sempre difeso dalle accuse sostenendo che era la Consip a pagare in ritardo. Ma una verifica fiscale del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza ha accertato che alla società erano arrivati una valanga di decreti ingiuntivi da parte di commercianti, baristi, ristoratori e negozianti di alimentari. È passato quasi un anno da allora. Ora si è arrivati al fallimento. Confesercenti chiede di partecipare al tavolo convocato al Mise per il prossimo primo ottobre, i dipendenti attendono risposte. Nel mezzo le storie di chi di colpo ha perso tutto. E l'effettiva comprensione di come il gruppo possa aver accumulato un debito di oltre 300 milioni di euro.
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