Reddito di cittadinanza, rischio flop al Sud tra lavoro nero e costo della vita

Reddito di cittadinanza, rischio flop al Sud tra lavoro nero e costo della vita
di Francesco Pacifico
Lunedì 4 Marzo 2019, 10:00 - Ultimo agg. 18:37
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Ancora 48 ore e i disoccupati e gli inoccupati con bassi salari potranno iniziare a presentare le domande per ottenere il reddito di cittadinanza. Eppure, nonostante i tempi stretti, la macchina per erogare il sussidio non è stata ancora oliata a sufficienza. Ma soprattutto, nel Mezzogiorno, restano aperti una serie di nodi che potrebbero rendere inefficace la misura, se non provocare gli effetti contrari, risultare un boomerang.

Sotto il Liri Garigliano il successo del reddito si incrocia su due fattori paralleli, ma non per questo non correlati: l'entità, alta del sussidio, e la capacità del sistema imprenditoriale meridionale di assorbire mano d'opera in un'area - il Sud - dove 1,3 milioni di persone ha un reddito inferiore alla soglia di povertà. Nei giorni scorsi Confindustria ha lanciato l'allarme che il sussidio, con i suoi 780 euro massimi, è troppo alto rispetto agli stipendi degli under30 nel Meridione: qui la media - ha calcolato viale dell'Astronomia - è di 740 euro al mese, quindi 40 euro in meno rispetto all'assegno del reddito. Parliamo di 9.360 euro all'anno in un quadrante del Paese dove il reddito medio più alto è quello della Basilicata (17.273 euro), seguito da quello del Molise (16.675 euro) e dalla Sardegna (16.321 euro), mentre in Campania siamo sotto i 16mila euro.
 
Per la cronaca, a pochissimi andrà la cifra piena dei 780 euro, ma c'è il timore, non soltanto tra gli imprenditori, che molti lavoratori dell'area sfruttando il basso costo della vita preferiscano vivere con il solo sussidio oppure mantenere un lavoro nero, approfittando dei limiti nel sistema dei controlli o della difficoltà dei centri per l'impiego. Un timore rafforzato dopo che un emendamento al Decretone passato in Senato ha previsto che il beneficiario del reddito può rifiutare una proposta di lavoro, se questa non gli garantisce uno stipendio di almeno 858 euro al mese.

Poi c'è da fare i conti con il grado di occupabilità dei percettori del reddito. Le imprese del Sud hanno bisogno di personale altamente qualificato per conquistare nuovi mercati: non a caso le offerte più remunerative riguardano la ricerca di sistemisti, di ingegneri e tecnici specializzati. Gli iscritti al reddito, invece, sono personale dequalificato, che quando lavora guadagna bassissime paghe e ha un livello di istruzione che non va oltre la scuola dell'obbligo. Senza contare che in moltissimi casi non ha conoscenze informatiche ed è disoccupata da anni, quindi ha bisogno di essere formata in maniera profonda per affrontare le nuove sfide del lavoro. Su spinta del ministro del Sud Barbara Lezzi, il governo ha previsto che le aziende che reclutano percettori del reddito nel Mezzogiorno possano sommare sia la decontribuzione sui nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato prevista in Finanziaria sia un credito d'imposta, pari ai mesi di sussidio non utilizzati dal disoccupato. Parliamo di uno sconto che può superare i 14mila euro all'anno. Ma per le imprese non è sufficiente. Sempre Confindustria, durante le audizioni sul provvedimento in Senato, ha segnalato che «la fruizione degli sgravi contributivi viene calcolata su base mensile e, quindi, non consente di conguagliare, a differenza del meccanismo generalmente seguito per gli sgravi antecedenti, l'eventuale eccedenza con i contributi dovuti nel mese successivo alla fruizione». Dunque, «costituisce un ulteriore limite all'effettiva attrattività dell'incentivo stesso».

Un capitolo a parte merita il mondo dei centri per l'impiego, strutture che le Regioni hanno ereditato dalle Province, dove il personale non è mai stato formato a sufficienza per i nuovi compiti imposti dalle politiche attive, le sedi sono disastrate e spesso mancano anche le reti per collegare i terminali. Il tutto mentre è lontana l'intesa tra governo e Conferenza delle Regioni per sbloccare i 120 milioni necessari per rilanciare questi uffici. In tempi non sospetti l'assessore al Lavoro della Campania, Sonia Palmeri, ha ammesso che nella nostra regione - dove ci sono 46 centri per l'impiego - «sono troppo pochi i 561 dipendenti in organico. Dovremo avere un potenziamento almeno del doppio, servono altre 600 unità». E questo territorio è uno dei pochi che ha stanziato fondi propri (circa 16 milioni di euro) per rilanciare i Cpi e potenziare la dotazione informatica. Non migliore la situazione in Puglia, dove gli addetti sono soltanto 391 e gli uffici sono presi d'assalto giornalmente per le pratiche per la Naspi o il Rei. Dalla Regione fanno sapere che, per esempio, nelle strutture di Bari spesso le stampanti non funzionano e che gli operatori non possono compilare i formulari. In una delibera della giunta siciliana invece è stato messo nero su bianco che sull'Isola servono almeno 385 navigator, ognuno dei quali costerebbe - si legge nella relazione - 61.740 euro lordi all'anno.
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