Stop alla giungla degli sconti fiscali: il governo ci riprova

Stop alla giungla degli sconti fiscali: il governo ci riprova
Stop alla giungla degli sconti fiscali: il governo ci riprova
di Luca Cifoni
Mercoledì 10 Aprile 2019, 07:37 - Ultimo agg. 13 Giugno, 11:39
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Il proposito di riprendere il percorso di risanamento dei conti a partire dal 2020 ed evitare lo scontro con l'Europa, ma anche la necessità di menzionare in modo più o meno esplicito le misure volute dai partiti della maggioranza. Queste due esigenze convivono nel Documento di economia e finanza che non è un testo legislativo e dunque non contiene misure precise, ma deve disegnare il quadro finanziario all'interno del quale il governo dovrà fare le proprie scelte nella legge di Bilancio. Dunque se è chiara la volontà di ridurre la pressione fiscale in particolare a carico delle famiglie e dei ceti medi, restano avvolte nell'incertezza le coperture con le quali questo obiettivo dovrà essere realizzato.

Nel testo, o quanto meno nella versione entrata in Consiglio dei ministri, viene menzionata la riduzione e razionalizzazione delle tax expenditures, la giungla di agevolazioni fiscali attualmente riconosciute ai contribuenti. Si tratta di un progetto al centro dell'attenzione ormai da molti anni, ma difficile da realizzare nella pratica. Nel Def viene poi confermata l'applicazione per tre anni del meccanismo di Quota 100 per la pensione anticipata. Vengono anche stimati gli effetti sulla crescita delle nuove regole previdenziali, che sono nulli nel 2019 e poi leggermente positivi. Nell'ambito di questa simulazione c'è una stima del tasso di sostituzione dei dipendenti pubblici che andranno in pensione: è pari al 35 per cento per quest'anno (perché le uscite si concentrano negli ultimi mesi dell'anno) e si avvicina al 100 nei due anni successivi.

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Deficit più alto, scattano tagli per 2 miliardi. Il deficit pubblico 2019 che a dicembre era stimato al 2,04% del Pil viene ora rivisto al 2,4% per effetto del rallentamento dell’economia: sarebbe anzi al 2,5% se non fosse stato deciso di confermare il congelamento di spese dei ministeri per 2 miliardi. Il saldo strutturale (quello rilevante ai fini europei) dovrebbe peggiorare dello 0,1% rispetto al 2018, risultando però in lieve miglioramento se si tiene conto della clausola “eventi eccezionali”. Il disavanzo tornerebbe a scendere in rapporto al prodotto nel 2020 (1,8%) e poi negli anni successivi. Secondo il ministero dell’Economia la riduzione del disavanzo strutturale da qui al 2022 sarebbe «in linea con una graduale convergenza verso il pareggio».

Risale il debito, colpa di spread e bassa crescita. Dopo essere risalito quest’anno al di sopra del 132 per cento, il rapporto debito/Pil continuerebbe ad aumentare quest’anno fino a raggiungere il 132,6 per cento. Nel quadro programmatico, il percorso di discesa dovrebbe riprendere nel 2020 con un rapporto pari al 131,3 per cento nel 2020 e poi proseguire fino al 128,9 per cento solo nel 2022: dunque serviranno tre anni per tornare al di sotto del 130 per cento. Nel documento viene rilevato che «la riduzione del debito in rapporto al Pil è moderata in presenza di bassa crescita nominale, rendimenti reali relativamente elevati e un surplus primario che resterebbe lievemente al di sotto del 2 per cento del Prodotto interno lordo anche nell’anno finale della proiezione».

Dismissioni. Introiti attesi da immobili e concessioni. L’obiettivo di introiti da dismissioni per il 2019 è arduo: un punto di Pil pari a 18 miliardi. Un valore molto superiore a quello medio degli anni successivi, pari allo 0,3 per cento del prodotto. Per provare a ottenere questi risultati il governo conta di incrementare di 1,25 miliardi il programma di cessioni immobiliari già previste per il triennio 2019-2021, che avrebbe dovuto garantire 1,84 miliardi. Inoltre nel Def viene ripreso un progetto già adombrato nei mesi scorsi, quello di far affluire nel Fondo ammortamento del debito pubblico i maggiori proventi generati dalla razionalizzazione delle concessioni, insieme ai maggiori proventi rivenienti dalle dismissioni immobiliari demaniali e delle alienazioni di quote di capitale delle principali società partecipate.

Famiglie. Aiuti ai nuclei numetrosi contro la denatalità. Le famiglie dovrebbero essere al centro del programma di riduzione del prelievo fiscale da avviare nel 2020, in un quadro di semplificazione dell’Irpef. Alla fine del confronto all’interno della maggioranza è stato inserito un riferimento esplicito alla flat tax con l’indicazione che dovrà essere a beneficio dei «ceti medi». Inoltre nel comunicato stampa di Palazzo Chigi viene specificato che «per favorire la ripresa delle nascite e la partecipazione femminile al mercato del lavoro, il governo intende proseguire sulla strada dell’alleggerimento del carico fiscale e della destinazione di maggiori risorse a favore delle famiglie, con particolare riguardo a quelle numerose e con componenti in condizione di disabilità».

Imprese. Meno imposte sugli utili non distribuiti. A proposito di tassazione delle imprese, nel Documento di economia e finanza vengono citati alcuni dei provvedimenti che in parte sono già in via di approvazione con il decreto crescita. Si tratta in particolare di una «aliquota Ires applicabile agli utili non distribuiti». La finalità di questa misura è quella di incentivare gli investimenti. Menzionato anche l’aumento al 60 per cento della percentuale di deducibilità dell’Imu pagata sugli impianti produttivi. Per quanto riguarda l’innovazione, è scritto che «il governo predisporrà delle Strategie Nazionali per l’Intelligenza Artificiale e per la Blockchain» e che «risorse significative saranno investite nella diffusione della banda larga e si promuoverà lo sviluppo della rete 5G».

Investimenti. Obiettivo: tornare entro il 2022 al 2,5% del Pil. Nel 2018 è stato toccato il livello minimo di investimenti pubblici in rapporto al Pil (1,9 per cento in termini di investimenti fissi lordi, a fronte di una media del decennio precedente la crisi che è stata pari al 3). Il governo si propone di tornare al 2,5 nel 2022, invertendo una tendenza che da una parte ha avuto un effetto depressivo sull’attività economica, dall’altra ha aumentato l’urgenza di interventi di manutenzione e modernizzazione delle infrastrutture. Per farlo, punta a coinvolgere oltre alle amministrazioni pubbliche anche le società partecipate e le titolari di concessioni. Dopo la creazione, con la legge di Bilancio, di un’unità centrale di coordinamento, nel Def viene annunciata l’introduzione di ulteriori «cambiamenti organizzativi e regolatori».

Statali. Riassetto della Pa ma resta il nodo dei contratti. Il Documento di economia e finanza, nella parte dedicata al programma di riforma, comprende un ampio riepilogo del disegno di legge “concretezza” voluto dal ministro Giulia Bongiorno e dedicato al riassetto del pubblico impiego. Lo stesso ministro ha sottolineato come nel documento risulti confermato «il turnover al 100% nelle pubbliche amministrazioni» mentre nei prossimi mesi «non è previsto nessun taglio». «Mai nessun governo ha investito nella pubblica amministrazione, sia centrale che locale, come sta facendo quello attuale», ha sintetizzato Bongiorno. Nelle versioni preliminari del testo mancano però riferimenti alla dote finanziaria destinata ai rinnovi contrattuali, che dovrà essere incrementata con la legge di Bilancio.

Lavoro. Salario minimo non inferiore a 9 euro l’ora. Tra le riforme che il governo intende attuare c’è anche l’introduzione del salario minimo, inteso come una sorta di completamento della riforma già attuata con il reddito di cittadinanza. Si tratta in particolare di un «intervento di sostegno» a garanzia dell’efficacia generale dei trattamenti salariali minimi previsti già nei contratti nazionali comparativamente più rappresentativi. Il livello dovrà essere «non inferiore a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, e comunque non inferiore a 9 euro lordi l’ora». «La finalità complessiva dell’intervento - si specifica - è quella di offrire una protezione più efficace ai lavoratori a basso salario, conservando alle parti sociali il ruolo di autorità salariali».

Iva. Da trovare i fondi per evitare lo scatto delle aliquote. I l governo conferma l’intenzione di non far scattare le pesanti clausole di salvaguardia, ovvero gli aumenti dell’Iva (per 23 miliardi nel 2020 e 29 l’anno successivo) che porterebbero l’aliquota ordinaria dell’imposta sul valore aggiunto al 26,5 per cento. Non ci sono però al momento indicazioni precise sulle coperture alternative. In teoria, data l’intenzione annunciata dallo stesso esecutivo di non aumentare nessuna altra imposta, si dovrebbe trattare di tagli di spesa. I margini sono comunque molto stretti e non è escluso che alla prova dei fatti, quest’autunno, venga presa in considerazione l’ipotesi di procedere quanto meno ad aumenti selettivi dell’Iva, per determinate categorie di beni e servizi. Uno scenario che è già stato oggetto di studio dal parte del ministero dell’Economia.

Occupazione. I senza impiego ancora oltre l’11% nel 2020. Il tasso di occupazione registrerà una riduzione dello 0,1% nel 2019 (dopo una crescita dello 0,8% l’anno scorso), mentre nel 2020 è previsto un aumento dello 0,3%.
Si arriva poi nel 2021 un +0,6% e nel 2022 a un incremento leggermente più basso (0,5%). La disoccupazione si attesterà invece all’11% nel 2019 (dal 10,6% del 2018) e all’11,1% nel 2020 per poi scendere leggermente l’anno successivo al 10,7% e al 10,4% nel 2022. I dati del quadro programmatico sull’andamento dell’occupazione sono contenuti nelle tabelle diffuse dal ministero dell’Economia dopo il via libera al Def da parte del Consiglio dei ministri. Il documento varato ieri si pone per il prossimo triennio «l’obiettivo fondamentale di una nuova fase di sviluppo economico».

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