Spesa statale, la beffa del Mezzogiorno: 499 miliardi in meno in 20 anni

Spesa statale, la beffa del Mezzogiorno: 499 miliardi in meno in 20 anni
di Marco Esposito
Lunedì 27 Luglio 2020, 10:00 - Ultimo agg. 15:30
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Recuperare i divari Nord-Sud. L'impegno, vecchio come il mondo verrebbe da dire, ha preso sfumature meno vaghe da quando, complice la crisi della pandemia, l'Italia è diventata primo beneficiario in Europa delle risorse del Recovery fund. Ci sono soldi veri da spendere in modo oculato e il Mezzogiorno è senza dubbio l'area italiana a maggiore potenziale di crescita, così come è stata trent'anni fa la Germania Est per i tedeschi. Però il Sud, si afferma spesso e talvolta anche tra i meridionali, è una pentola bucata, un pozzo senza fondo che assorbe risorse a vuoto, un territorio che ha goduto per decenni di leggi di favore con i risultati mediocri che sono sotto gli occhi di tutti.

Due false informazioni, due fake news si direbbe oggi. Entrambe dimostrabilmente false. La prima utilizzando i valori ufficiali dei Conti pubblici territoriali. La seconda elencando le norme scritte in favore del Mezzogiorno - tante, questo è vero - ma rimaste inattuate.

Sui soldi è presto detto. Il Sud non è affatto una terra inondata di risorse spese male. Sia chiaro: di soldi spesi male ce ne sono stati in passato e ve ne sono ancora, al Sud non diversamente che al Nord, come dimostrano le inchieste giudiziarie e le condanne. Ma sulla quantità di risorse siamo ben lontani dall'equità. Tuttavia sui numeri si fa non poca confusione, per cui è l'occasione di fare chiarezza.

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A inizio 2020 il Rapporto annuale dell'Eurispes, in particolare, ha calcolato in 840 miliardi la somma di spesa pubblica che il Sud avrebbe dovuto ricevere dal 2000 al 2017 se ci fosse stato perfetto equilibrio territoriale in base agli abitanti. Una denuncia forte (e documentata) che però ha ricevuto l'accusa di essere una bufala da parte dei cacciatori di fake news di Pagella Politica. Come stanno in realtà le cose? La base dati è unica e si chiama Conti pubblici territoriali e in effetti se si confronta la spesa media procapite per i cittadini del Centronord e quelli del Mezzogiorno il divario è molto forte, di quasi 4mila euro. Per l'esattezza, in base ai valori più aggiornati e relativi al 2018, 16.612 euro al Centronord e 12.706 nel Mezzogiorno con una media di 15.282. Quindi se tutti fossimo trattati in modo matematicamente uguale, il cittadino meridionale dovrebbe salire a 15.282 euro, cioè beneficiare di una spesa pubblica di oltre 2.500 euro superiore. E visto che i meridionali sono più di 20 milioni, il totale sottratto al principio d'equità in un solo anno fa circa 50 miliardi, ovvero gli 840 miliardi per l'intera serie storica calcolati da Eurispes fino al 2017. Ma è giusto - ci si deve chiedere per onestà intellettuale - che tutta la spesa pubblica sia ripartita con equità territoriale? C'è una voce importante, peraltro la principale nel bilancio statale, nella quale il conteggio è strettamente individuale: la pensione. Se due fratelli gemelli hanno vite professionali diverse - uno fa carriera e diventa docente universitario e l'altro fa l'insegnante alle medie - ci aspettiamo che abbiano stipendi diversi e troviamo del tutto naturale che prendano pensioni diverse. Ecco, al Centronord grazie a un'economia più florida ci sono più persone che iniziano a lavorare prima e che hanno redditi elevati, per cui visto che i soldi attirano soldi, le pensioni sono di solito più generose. Lo Stato, in tale caso, fa da cassa comune tramite l'Inps e limita la solidarietà all'erogazione delle pensioni minime e di quelle sociali. La spesa per le pensioni da sola giustifica la metà del divario Nord-Sud e va depurata dal conteggio.

Cosa dicono i numeri netti? Li trovate in pagina. Intanto sono aggiornati rispetto a quelli Eurispes e arrivano al 2018. E poi sono ripuliti sia della spesa previdenziale, sia della cassa integrazione, la quale anch'essa va soprattutto al Nord perché per restare senza lavoro devi prima averne uno, sia degli interessi sul debito che dipendono dai risparmi (ovviamente superiori al Nord). Il risultato è forse meno roboante ma è tecnicamente inattaccabile: anche pulendo i valori delle spese inevitabili, in tutti gli anni considerati lo Stato spende mediamente più al Centronord che nel Mezzogiorno e l'importo perso dai meridionali rispetto alla media va da un minimo di 11 miliardi nel 2000 (il primo anno della serie storica) a un massimo di 34 miliardi nel 2008. La somma dei diciannove anni (2000-2018) porta a 499 miliardi, con una media di 26 miliardi all'anno di minore spesa pubblica per servizi sociali, sanità, trasporto, scuola, investimenti. Se si entra nel dettaglio delle tipologie di spesa, il Mezzogiorno cade nella voce acquisti di beni e servizi. Quando c'è da pagare stipendi pubblici, infatti, lo Stato si comporta in modo equanime. C'è una sola (vistosa) eccezione: la sanità, settore nel quale il Mezzogiorno è trattato decisamente peggio. Ma in generale, per enti locali, scuola, sicurezza, giustizia le spese per il personale al Sud sono in linea con la media e talvolta superiori. A frenare il Mezzogiorno è l'acquisto di beni e servizi per far funzionare la macchina pubblica: i dipendenti pubblici meridionali sono poco produttivi perché operano in strutture meno dotate.
 


Ma perché ciò è accaduto nonostante le tante norme di favore? Questo è l'altro corno del problema. Carlo Azeglio Ciampi, da ministro del Tesoro del governo Prodi, a partire dal 1996 ha colto l'importanza di una spesa pubblica concentrata nel Mezzogiorno e, proprio per capire come spende la macchina statale, Ciampi volle un sistema specifico di contabilità, diventato poi i Conti pubblici territoriali. Più volte si è provato a rendere cogenti le regole di equità. Per esempio nella finanziaria 2005 e poi nella finanziaria 2007 si è stabilito (una volta al comma 17, la seconda al comma 873) che le imprese pubbliche devono spendere almeno il 30% degli investimenti ordinari nel Mezzogiorno. Ma la legge è rimasta inapplicata perché la principale società pubblica per investimenti, le Ferrovie dello Stato, in quegli anni era impegnata nella realizzazione dell'alta velocità ferroviaria, come noto realizzata quasi tutta al Centronord. Infatti le Fs nel 2005 investirono al Sud appena il 15%, compresi gli interventi straordinari, mentre nel 2007 la quota fu del 20%. Ma ovviamente non ci fu alcuna sanzione perché l'azienda di stato non fece altro che rispettare i contratti di programma.

Non andò molto meglio nel 2009. Roberto Calderoli preparò un sistema di decreti di attuazione del federalismo fiscale ben congegnato e che rispettava il principio d'equità. In particolare per superare di divari di infrastrutture tra Sud e Nord era prevista una ricognizione dell'esistente, che però non è neppure partita.

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Clamoroso, infine, il ritardo nella definizione dei Lep, sigla che sta per «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (Costituzione, articolo 117). Tocca al Parlamento fissare l'asticella dei diritti, ma dal 2001 non è mai stato fatto con il risultato paradossale che quando nel 2014 si è dovuto determinare il fabbisogno standard di un determinato territorio (operazione effettuata per i Comuni) si è deciso che in assenza del servizio non c'era il fabbisogno. Fino all'assurdo degli asili nido zero, corretto solo (e parzialmente) a partire dal 2020.

Il 2020 dovrebbe essere anche il primo anno di attuazione della cosiddetta «legge del 34%» ovvero la norma che impone di destinare il 34% degli investimento ordinari al Mezzogiorno, sulla base del banale principio che al Sud vive il 34% degli italiani. La legge c'è dal 2017 ma nonostante la sua ovvietà, è rimasta inapplicata con i ministri del Sud Claudio De Vincenti e poi Barbara Lezzi. Ora ci sta provando Peppe Provenzano.

Ma perché è così difficile applicare persino le regole ovvie? Semplice.
Perché è più facile (e per nulla costoso) convincere i meridionali che se le cose non vanno è colpa di una mediocre classe dirigente (che anche c'è, sia chiaro) piuttosto che impegnarsi a far funzionare le cose per davvero, come se fossimo tutti tedeschi, anche ad Est. Pardon, tutti italiani, anche al Sud. 

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