Tagli a treni e aerei il Sud che arretra

Tagli a treni e aerei il Sud che arretra
di Nando Santonastaso
Domenica 14 Ottobre 2018, 16:07 - Ultimo agg. 15 Ottobre, 09:42
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Visto dal Sud, il possibile matrimonio tra Alitalia e Ferrovie dello Stato sa quasi di beffa. Perché sono anni ormai che la compagnia di bandiera ha tagliato quasi tutti i collegamenti da e verso il Nord, prontamente acquisiti peraltro dai vettori low cost con ritorni persino strepitosi in termini di passeggeri e rotte per scali come Capodichino a Napoli e Fontanarossa a Catania, ormai ai primi posti in Italia. E perché, come tutti sanno, l'alta velocità ferroviaria resta ancora oggi un patrimonio pressoché esclusivo delle regioni centrosettentrionali, con Napoli, Salerno e la Campania unica eccezione e, al contrario, le isole maggiori, Sicilia e Sardegna, prive anche di una qualsiasi ipotesi futuribile di Freccia, bianca o rossa o argento che sia. In un eventuale progetto di integrazione tra aerei e treni tricolori, insomma, il Mezzogiorno farebbe da spettatore passivo. Con il paradosso che anche i soldi dei suoi abitanti contribuirebbero a un salvataggio di cui essi per primi non beneficerebbero in alcun modo, visto che le grandi infrastrutture del trasporto continuano a essere una chimera e che, di conseguenza, la prospettiva di agganciare lo sviluppo si allontanerebbe ancora di più.

IL DECLINO
Alitalia è il paradigma di questo scenario. Scelte economiche discutibili quanto legittime (in primis il rapporto non equilibrato tra il costo dei servizi e il numero di passeggeri trasportati), l'inarrestabile crescita dell'alta velocità ferroviaria e la politica aggressiva (ma redditizia, a quanto pare) delle compagnie più piccole hanno determinato il progressivo, inarrestabile abbandono del Sud. Al punto che, tranne qualche eccezione come vedremo, quasi nessuno ormai sembra farci più caso. Dice Armando Brunini, ad della società che gestisce Capodichino: «Quando sono arrivato io Alitalia era il vettore leader dei voli domestici nello scalo. Oggi che ci avviamo a sfiorare i 10 milioni di passeggeri nel 2018 e abbiamo raddoppiato le rotte, i voli interni della compagnia di bandiera sono quasi scomparsi». Resistono ancora i collegamenti giornalieri con Milano Linate e alcuni per Roma Fiumicino, ma proprio questi ultimi potrebbero avere le ore contate: già adesso vengono utilizzati soprattutto da chi deve poi imbarcarsi per destinazioni europee o intercontinentali, ma in futuro l'integrazione con l'alta velocità potrebbe renderli ancora più inutili.

Il dopo Alitalia a Napoli, come in altri scali, ha stimolato l'interesse delle compagnie a medio e corto raggio: dopo il clamoroso annuncio a maggio dell'abbandono del collegamento da Torino, il buco è stato coperto in pochi mesi da Blu Air che ha potenziato le sue rotte e dai nuovi voli di Volotea e Easyjet. È avvenuto lo stesso anche in Puglia e Calabria ma in quest'ultima regione l'addio di Alitalia è diventato un caso politico: le proteste del presidente della Regione, Oliverio, sembrano essere riuscite ad ottenere che dall'1 novembre prossimo la compagnia di bandiera, auspice il nuovo governo, potenzierà le rotte da Reggio Calabria per Roma e Milano. E un aeromobile effettuerà anche la sosta notturna allo scalo reggino per consentire ai viaggiatori un volo di prima mattina per la capitale. Una ciambella di salvataggio, almeno per ora: perché senza Alitalia il destino dell'aeroporto sarebbe segnato.
Resta il fatto però che per i circa 30 milioni di passeggeri che ogni anno partono dagli aeroporti meridionali, sono disponibili appena una trentina di rotte e pochissime internazionali. Quasi un controsenso se si valuta l'impatto dei turisti in quasi tutti gli scali meridionali, da Napoli a Catania, da Palermo a Bari, nel 2016 e 2017, anni record sotto questo profilo. Ad intercettarli, come detto, le low cost capaci di gestioni costi-benefìci di gran lunga più convenienti e di staccare quasi la metà del totale dei biglietti. Pensare che con l'attuale situazione debitoria Alitalia possa tornare sui suoi passi appare a dir poco improbabile.

IL DIVARIO
Se per volare la concorrenza non manca, sui binari la situazione è più complicata. Il Sud vive già da anni una situazione ad handicap per i trasporti pubblici e vale la pena di ricordarne alcune cifre: per limitarsi ai soli treni regionali, in Sicilia sono circa 430, in Lombardia quasi 2.400. L'alta velocità al momento arriva al massimo a Salerno: entro il 2022 potrebbe collegare Napoli a Bari in quella che rimane l'unica, grande opera meridionale del Contratto di programma per la quale i finanziamenti non dovrebbero essere in discussione. Per la verità lo stesso Contratto, sottoscritto nel 2016 da Fs e dal governo di allora, prevede che su un ammontare complessivo di investimenti di 57 miliardi circa 23 debbano essere destinati al Sud: tra gli interventi figurano anche il collegamento ferroviario con Matera, il potenziamento delle dotazioni tecnologiche sulla Salerno-Reggio Calabria, l'avvio dei lavori sulla tratta jonica. Ma sono impegni di spesa da confermare, con scadenze anch'esse da verificare. Se ne saprà di più con l'imminente nuovo piano industriale annunciato dal nuovo ad di Fs, Battisti. Di sicuro ancora oggi andare in treno dalla Sicilia a Roma o a Milano e Torino vuol dire rassegnarsi a un viaggio tra le 10 e le 12 ore. Non è un caso, come documentato dalla Svimez, che l'offerta del trasporto pubblico locale faccia emergere in tutta la sua evidenza questo gap: al Sud si misura in 2.076 posti-km per abitante contro i circa 6mila dei Comuni settentrionali. E non è più una sorpresa che nel crollo degli investimenti degli ultimi 8 anni, il Sud abbia pagato il prezzo più alto proprio sulle infrastrutture. Ecco perché il matrimonio Alitalia-Fs lascia più di un dubbio anche in chi sarà costretto a fungere da spettatore.
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