Ue, ecco il nuovo fronte dei «falchi»: beni d'Italia nel fondo di redenzione

Ue, ecco il nuovo fronte dei «falchi»: beni d'Italia nel fondo di redenzione
di Pietro Perone
Domenica 24 Agosto 2014, 02:40 - Ultimo agg. 16:23
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C'è uno spettro che si aggira per l'Europa, la cui sigla è Erf: «European redemption fund», fondo di redenzione. La parola dice già tutto: il meccanismo finanziario è destinato a quei Paesi come l'Italia che hanno un debito pubblico alle stelle e non sono in grado di raggiungere gli obiettivi fissati dal Fiscal compact, trattato europeo ratificato dal Parlamento e che prevede l'obbligo del pareggio di bilancio in termini strutturali, insieme con l'abbattimento dell'eccedenza del debito sopra il 60 per cento del Pil. Un obiettivo gravoso, forse impossibile, per un Paese che a giugno si è ritrovato di nuovo con la cifra record di duemila e 168,4 miliardi, in base all'ultima rilevazione di Bankitalia. Galoppa il «rosso» delle Amministrazioni pubbliche, solo in parte frenato dalla crescita delle liquidità del Tesoro: 2.063 miliardi rispetto ai 2.074 del mese precedente. Cifre ben lontane dagli ormai famigerati parametri di Maastricht.



Non si sarà discusso della flessibilità al rigore nell'incontro di Ferragosto tra Matteo Renzi e Mario Draghi a Città della Pieve, ma l'ipotesi che il fondo di redenzione possa essere la prossima «medicina» europea per l'Italia è sul tavolo. Il meccanismo è stato escogitato da un gruppo di economisti tedeschi convocati tempo fa da Angela Merkel e che hanno riadattato, all'insegna del rigore, un progetto messo in piedi dal professore Quadrio Curzio quando Prodi era presidente della Commissione Ue.

Per primo Gianni Pittella, capogruppo dei socialisti e democratici a Strasburgo, recentemente il sottosegretario, Graziano Delrio, hanno fatto riferimento proprio a quel progetto italiano, gli euro union bond, cioè la mutualizzazione del debito: «Si crea un fondo federale europeo al quale ogni Stato conferisce un pezzo del proprio patrimonio immobiliare e non. Garanzie reali che possono essere utilizzate in parte per investimenti strutturali e in parte per alleggerire il debito pubblico. A quel punto non faticheresti più a trovare 3 miliardi di euro l'anno dalle privatizzazioni ma taglieresti il debito del 25-30%», spiega Delrio.



In pratica un Paese come l'Italia conferirebbe al Dfr il 60% del debito pubblico eccedente il Pil ottenendo in cambio prestiti e coperture per ottenere il pareggio di bilancio in un arco di tempo limitato. Sarebbe questa la flessibilità di cui si discute, ma con qualche controindicazione di fondo: il piano della Germania prevede che il Paese in fase di «redenzione» debba trasferire una quota dei propri beni, compreso una parte del fisco. Una garanzia per ottenere quell'agibilità rispetto ai vincoli che l'Europa dei rigoristi difende a ogni costo.



La trattativa segreta è in corso e va avanti ormai da qualche mese, visto che il piano dei falchi di Berlino è da tempo nero su bianco. Nel caso passasse, le implicazioni politiche sarebbero molteplici: quali beni dello Stato verrebbero «congelati» nel fondo? Tesori d'arte, spiagge, risorse paesaggistiche? Inoltre: la cessione di una parte delle entrate fiscali a garanzia non configurerebbe una perdita di sovranità nazionale?



Un'operazione finanziaria che rischierebbe di scatenare le reazioni degli euroscettici, Grillo in testa, e di difficile «gestione» anche per Berlusconi. Un patto, dunque, che avvicinerebbe inevitabilmente le elezioni anticipate. Motivo per cui Renzi avrebbe risposto picche a Draghi. Francesco Storace, però, racconta di avere avuto una «soffiata» da un autorevole europarlamentare e giura che «a fine mese, al massimo quello dopo, i governi degli Stati europei saranno chiamati alla decisione politica sull'Erf. E il presidente della Bce - rivela il leader della Destra - avrebbe convinto il premier con questo argomento: ”Non ti muovere dal 3 per cento, cedi al fondo i beni di proprietà dello Stato e il tuo debito sarà più leggero”. Mattoni, spiagge, cultura e persino tasse».



Storace, che per sua stessa ammissione quando nel Msi era il portavoce di Fini era abituato a spararla grossa per finire sui giornali, forse compie una fuga in avanti. Ma che a Bruxelles si lavori per rendere operativo il Fiscal compact è certo, così come è sicuro che tra le ipotesi allo studio c'è il progetto del fondo di redenzione proposto da tedeschi. Per creare il meccanismo di garanzia, la cancelliera ha fatto le cose in grande investendo il «German Council of Economics Expert», il massimo organo di consultazione che Berlino possiede in campo economico. E lo scorso marzo il piano ha ottenuto il via libera a Bruxelles da un comitato di esperti guidati da Gertrude Trumpel-Gugerell, ex banchiera austriaca. Appuntamento ora al Consiglio europeo del 30 agosto per capire se la nuova «tagliola» Ue si trasformerà di qui a qualche mese nel nuovo fronte degli oltranzisti del rigore pronti a piegare i paesi «spendaccioni» come l'Italia.