Whirlpool, l'allarme dei sindacati: «Senza risposte intervenga Conte»

Whirlpool, l'allarme dei sindacati: «Senza risposte intervenga Conte»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 29 Gennaio 2020, 07:30 - Ultimo agg. 14:58
4 Minuti di Lettura

I sindacati sono pronti a chiedere il coinvolgimento diretto del premier Conte se dall'incontro di stamane al ministero dello Sviluppo economico non emergeranno indicazioni chiare sul futuro dello stabilimento Whirlpool di Napoli. L'indiscrezione filtra in una vigilia difficile, tesa, incerta sull'esito del tavolo convocato per le 10 dal ministro Patuanelli. La sensazione, due mesi dopo l'ultimo incontro con azienda, sindacati, Regione Campania e Invitalia, è che poco o nulla sia cambiato. E soprattutto che non sarebbero state discusse e approfondite le ragioni per cui la multinazionale Usa ha deciso (e più volte confermato) di voler chiudere la produzione in via Argine a fine marzo. Sul piatto resta solo la disponibilità della Regione a sostenere con 20 milioni (che non sono comunque pochi) ogni percorso di rilancio produttivo del sito, formazione del personale in testa. «Tutto tace, i 60 giorni e più di riflessione concordati a fine novembre sono trascorsi senza nessuna novità. Siamo stati noi a sollecitare la convocazione di oggi dopo che la data del 20 gennaio, indicata dal ministero, era saltata nell'indifferenza quasi generale» dice Biagio Trapani, segretario della Fim Cisl di Napoli. E aggiunge: «Per noi la priorità era e rimane una sola: capire perché Whirlpool non può rispettare l'accordo del settembre 2018 con il relativo carico di investimenti per via Argine. Di fatto, finora, non siamo mai entrati veramente nel cuore della questione. Di sicuro se l'azienda vuole continuare a proporre un partner come Prs per il futuro dello stabilimento non ci sarà spazio per alcuna trattativa».
 

 

Toccherà al ministero verificare se e dove può partire un vero e proprio tavolo di negoziato ma il pessimismo appare pressoché generale. Non si ha notizia di eventuali gruppi di elettrodomestici interessati né alcun mandato sarebbe stato affidato a Invitalia per una ricognizione in tal senso. «Il sindacato impedirà che la vertenza finisca nel dimenticatoio come forse qualcuno spera» dice Giovanni Sgambati, segretario regionale della Uil Campania. E aggiunge: «Io credo che sia sempre più necessario a questo punto trovare un compromesso tra l'esigenza inderogabile di garantire il lavoro a via Argine anche dopo marzo e quella altrettanto irrinunciabile della qualità del lavoro stesso». Ovvero, una continuità produttiva che abbia presupposti solidi anche sulla durata e che sia in grado di saturare tutti i 400 attuali dipendenti (oltre naturalmente alle attività dell'indotto). Ma con o senza Whirlpool? La multinazionale, dopo avere blindato con l'annuncio alla Borsa Usa della volontà di cessare a fine marzo il suo impegno a Napoli, non pare avere cambiato idea. Né il ministero sembra poter mettere in campo strumenti e strategie tali da spingere ad un ripensamento. Anzi, il silenzio di questi due mesi sembra proprio confermare il contrario. Di qui, in caso di fumata nera stamane, il più che probabile appello dei rappresentanti dei lavoratori al premier che già peraltro era stato coinvolto nella vertenza lo scorso novembre. L'impegno al più alto livello del governo assumerebbe ovviamente anche un valore politico e, com'è avvenuto per l'ex Ilva, potrebbe aprire scenari che restano al momento assai improbabili. «Sarebbe un precedente pericoloso per l'Italia assistere al voltafaccia di una multinazionale che prima annuncia un piano industriale e pochi mesi dopo lo rinnega» dice ancora Sgambati.
 

In questo clima (saranno almeno 300 i lavoratori napoletani stamane a Roma) appare inutile ipotizzare soluzioni di riconversione produttiva che pure rischiano di essere quasi inevitabili se l'impasse perdurasse.
Oltre tutto ad aprile scadranno gli ammortizzatori sociali già in atto anche a Napoli per una parte dei lavoratori: una proroga fino a novembre, per uniformarli a quelli di altri stabilimenti Whirlpool nel nostro Paese, potrebbe essere possibile ma il nocciolo del problema non cambierebbe. E cioè: che ne sarà di via Argine? 

© RIPRODUZIONE RISERVATA