di Carlo Nordio
Lunedì 2 Marzo 2020, 00:16
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Non sappiamo se la matematica sia - come insegnava Pitagora - un criterio per descrivere il mondo, concetto peraltro ripreso da quei moderni astrofisici che tendono a spiegare l’Universo, e addirittura il Padreterno, con un algoritmo. Ma sappiamo che i numeri hanno una loro logica ostinata e cogente, contro la quale i pregiudizi alla fine si vanno a schiantare. Dunque facciamo un po’ di calcoli.

Se in Veneto il Coronavirus colpisse solo un decimo degli abitanti, avremmo mezzo milione di ammalati. E se di questi, come ci dicono le statistiche, il 10 per cento finisse in ospedale e un altro 5 per cento in rianimazione, avremmo cinquantamila ricoverati e oltre ventimila intubati. L’intero sistema sanitario - ora uno dei più efficienti (e gratuiti) al mondo – collasserebbe. Centinaia di pazienti morirebbero soffocati per mancanza di strumenti, e tutti gli ordinari interventi che presuppongono una decorso postoperatorio intensivo - praticamente tutta la trapiantologia, la neurochirurgia, la cardiochirurgia – sarebbero annullati. Per non parlare di chi è colpito da infarto, da ictus, o è vittima di un grave incidente stradale. Questo per il Veneto, e con un percentuale bassa di contagiati. Per la Lombardia potrebbe anche andare peggio, e non è detto che per il resto del Paese andrebbe meglio. Non è allarmismo, è una elementare tavola pitagorica.

Di fronte a una simile catastrofe, la reazione di chi si preoccupa per la nostra economia è comprensibile. Ma se la pandemia scoppiasse, i danni anche economici sarebbero ben più gravi di quelli attuali. Possiamo dunque correre questo rischio? Razionalmente parlando, no. Non solo perché la salute è più importante della produzione, ma perché la condiziona. E’ doloroso che oggi l’industria, il commercio e il turismo rallentino. Ma sarebbe fatale se domani si dovessero fermare. Ecco perché le restrizioni imposte alle nostre attività - se fatte con raziocinio- sono un male necessario. La Cina lo ha fatto in modo tardivo ma spietato, isolando sessanta milioni di persone. In Europa noi siamo stati i primi, ma gli altri paesi si stanno allineando. Tra poco scopriranno di avere il virus in crescita, e faranno come noi. Intanto Parigi ha chiuso il Louvre.

Ma oltre al pericolo di una seria epidemia e di una altrettanto grave crisi economica, il nostro Paese corre un rischio anche più insidioso: quello di attribuire a tutti i costi a qualcuno la responsabilità di quanto sta accadendo. E’ un fenomeno abbastanza universale, che nella storia si è manifestato con la caccia alle streghe e agli untori. Ma poiché le superstizioni non muoiono, ma semplicemente mutano, oggi tendiamo ad individuare in altri soggetti o fenomeni le cause degli eventi che non riusciamo a controllare: dalle scie chimiche, ai vaccini, fino ai complotti delle multinazionali. Alle congiunzioni planetarie evocate da Don Ferrante, fanno riscontro le prediche apocalittiche dei nuovi profeti delle discipline alternative. Quando poi non riusciamo a individuare il capro espiatorio, evochiamo il sospetto “non si sia fatto tutto quello che si doveva fare”. E come epilogo funesto interviene la magistratura.
In Italia abbiamo già avuto esempi di incriminazioni per non aver saputo prevedere i terremoti o altre catastrofi naturali. E ora sentiamo di indagini nei confronti di medici che non hanno diagnosticato in tempo questo morbo, che peraltro ancor oggi mezzo mondo si rifiuta di prendere sul serio. Speriamo soltanto che le procure, come ha fatto quella di Treviso, mandino messaggi rassicuranti. Le centinaia di sanitari che rischiano la salute propria per garantire quella degli altri non possono operare sotto la minaccia della denuncia. Sarebbe peggio di un’intollerabile ingiustizia. Sarebbe una colossale e dannosa stupidità.

Vi è tuttavia l’opportunità di fare, come insegnava il filosofo, un buon uso delle disgrazie. Essa risiede nel riconsiderare i limiti delle nostre capacità e insieme l’estensione delle nostre risorse. Se l’umanità si è affrancata da malattie mille volte più gravi di questa, aumentando le aspettative di vita e migliorandone la qualità, ciò non è avvenuto baciando reliquie - che aumentano i contagi - o evocando untori, che aumentano le paure. E’ avvenuto con la ricerca e il raziocinio, anche sacrificando interessi contingenti al perseguimento di obiettivi più generali e duraturi. Combattendo il fanatismo della superstizione ma anche il dogmatismo della pseudoscienza, perché nessuno meglio dello scienziato sa quanto le sue scoperte siano precarie e provvisorie. In definitiva, rallentando quando è necessario (come oggi) la nostra corsa, per riprendere fiato, e ripartire dopo con maggiore speranza ed energia.
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