di Gian Paolo Manzella
Sabato 7 Gennaio 2023, 00:19
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Nell’analizzare una fase di politica industriale per la prima volta effettivamente globale, ci si tende a concentrare sui “piani alti” delle dinamiche in corso. Ed è così che catene del valore, autonomia strategica e reshoring sono divenuti temi correnti. Taiwan è oramai per tutti un Paese strategico sul piano mondiale. Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) e Asml (Advanced Semiconductor Materials Lithography), sigle sino a pochi mesi fa sconosciute, sono presenze quotidiane in articoli e dibattiti. Il libro dell’anno del Financial Times è “Chips War” dello storico statunitense Chris Miller, mentre in Italia il lavoro di Alessandro Aresu - “Il dominio del XXI secolo”, dedicato ai riflessi geopolitici dell’innovazione - è tra i saggi più largamente discussi.

È una comprensibile attenzione verticistica che rischia di far perdere una seconda prospettiva con cui guardare al “Grande Gioco” di politica industriale cui assistiamo: quella legata al suo impatto sui territori, al come le scelte della geopolitica industriale cadono su singole aree e regioni. E, invece, si deve guardare anche da questa parte del cannocchiale. Ce lo ricorda la più recente esperienza Usa. Dietro l’impegno di politica industriale più importante nella storia statunitense non ci sono, infatti, le sole esigenze di contrastare il pericolo-Cina o di affrontare le sfide del cambiamento climatico. Accanto ad esse vi è l’azione per riequilibrare la “questione territoriale” statunitense. Sul punto un recente lavoro della Brookings (“Breaking down an $80 billion surge in place-based industrial policy”, di M. Muro, R. Maxim, J. Parilla, e X. de Souza Briggs) si incarica di sottolineare la centralità dell’indirizzo place based negli atti approvati dal Congresso negli ultimi mesi. 
Normative come l’American Rescue Plan Act, il Chips and Science Act o l’Infrastructure Investments and Jobs Act prevedono, infatti, interventi a forte valenza territoriale: da investimenti per la creazione di ecosistemi diffusi sino ad incentivi per attrarre imprese verso specifici luoghi e portare ricerca ed innovazione dove sono meno presenti. Una scelta importante anche per la dimensione delle risorse coinvolte. Per capirci, gli 80 miliardi di dollari che nei prossimi anni saranno dedicati a politiche industriali a valenza territoriale sono largamente superiori a quelli investiti dalla Tennessee Valley Authority o dalla Apalachian Regional Commission, le più rilevanti esperienze place based nella storia statunitense del secolo scorso.

Questa crescente attenzione alla questione territoriale ha evidenti ragioni.

Gli Stati Uniti sono un Paese con enormi divari economici e sociali. E questi divari hanno avuto (ed hanno) precise ricadute in termini politici con il diffondersi, anche in quel contesto, di dinamiche di geografia dello scontento. Da qui la scelta, tutta politica, di orientare risorse verso i territori con maggiori difficoltà, più lontani dai centri di innovazione, in cui maggiori sono le esigenze di compensazione.

Questa torsione della politica industriale Usa verso le dinamiche di coesione può dire alcune cose all’Europa, l’ordinamento in cui quest’ultima ha certamente il suo più evoluto assetto costituzionale e finanziario. La velocità di movimento delle scelte dell’amministrazione Biden ci dice, infatti, che anche l’Unione Europea deve stare al passo e, soprattutto, che politica industriale e politica di coesione debbono agire sempre più in sincrono. Vanno sempre più riportate nella stessa famiglia di strumenti di sviluppo.

In questa prospettiva il cambio nello spirito del tempo ha, per l’Italia, un significato particolare. È l’occasione, infatti, per essere protagonisti nei grandi investimenti di questo passaggio e contribuire a localizzarli nel Mezzogiorno. I primi esempi ci sono – la Gigafactory di pannelli solari che Enel Green Power realizza a Catania, gli investimenti nei semiconduttori della Stm Microelectronics nella stessa città etnea, sino ad arrivare alla nuova bioraffineria dell’Eni a Gela. Iniziative che stanno già attivando embrioni di ecosistema: dalle infrastrutture alle Pmi, fino ai rapporti con le università. E che segnano una strada ben precisa: quella di iniziative focalizzate su grandi temi, concentrate e non disperse territorialmente, sorrette da un rapporto solido tra pubblico e privato.

Negli anni davanti a noi dobbiamo seguire questo indirizzo, con un preciso percorso strategico, politico ed amministrativo: analisi dei territori più bisognosi di interventi e concentrazione su di essi; comunicazione delle scelte agli investitori; definizione di organismi di governo integrato dei diversi strumenti di intervento; assistenza amministrativa e sostegno finanziario per le imprese; collaborazioni con università e centri di ricerca; formazione mirata alle caratteristiche degli ecosistemi. In concreto vuole dire scelte di policy allineate a tecnologie e produzioni indicate dall’odierna politica industriale globale. A partire da un’esecuzione del Pnrr che ne metabolizzi il suo essere un’occasione irripetibile: per Italia e Mezzogiorno.

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