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Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Serve un accordo alto/ Tre condizioni per poter dire che l’Europa è ancora viva

di Paolo Balduzzi
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 23 Aprile 2020, 00:59 - Ultimo agg. : 20 Maggio, 11:25
4 Minuti di Lettura

Chissà se sarà davvero una resa dei conti quella di oggi al Consiglio europeo o se, ancora una volta, una decisione finale verrà rimandata a future ed incerte riunioni. Certo, rispetto solo a poche settimane fa, le posizioni dei Paesi membri sembrano essersi avvicinate, probabilmente anche grazie alle prese di posizione più concilianti - a parole, e speriamo anche nei fatti - di Commissione, Banca centrale e Parlamento europeo. 
Tuttavia, alcuni nodi fondamentali restano ancora da sciogliere. Con una difficoltà doppia per il nostro Paese: la prima, quella di convincere il blocco degli Stati più ostili a condividere le ormai note proposte dei nove Paesi che ruotano sostanzialmente tutte intorno alla mutualizzazione di forme di debito purché senza condizioni; la seconda, quella di evitare incomprensibili fratture all’interno della maggioranza, che indebolirebbero la nostra posizione negoziale.
Quali sono dunque gli auspici per l’Eurogruppo di questa sera? Sono tre, e riguardano le modalità di ricorso al cosiddetto “Fondo salva stati” (Mes), l’istituzione di titoli di debito mutualizzato, il ruolo di Angela Merkel nei prossimi mesi.

Cominciamo dal Mes, uno strumento che metterebbe a disposizione del nostro paese quasi 40 miliardi di euro da usare per interventi relativi alla sanità. Nato negli anni della crisi dei debiti sovrani e ratificato nel 2012, la sua finalità è quindi quella di “aiutare” specifici paesi in difficoltà attraverso un prestito soggetto a severe condizioni di rientro. Queste “severe condizioni” che evocano le forme capestro applicate alla Grecia qualche anno fa (dove era intervenuto anche il Fondo monetario internazionale) hanno giustamente fatto diffidare l’Italia della opportunità di ricorrere a questo strumento che qualcuno ha definito di “strozzinaggio” nei confronti degli Stati che vi ricorrano, senza aver prima incassato le dovute garanzie sull’assenza di condizioni penalizzanti.

Ora lo shock sanitario ed economico che ha colpito i paesi è simmetrico nella causa (coronavirus) ma fortemente eterogeneo negli effetti, per cause che ancora non sono chiare e con nazioni – per prima la nostra – che stanno pagando un prezzo elevatissimo. Sarebbe allora auspicabile che il ricorso al Mes non sia soggetto a condizioni di rientro e che le risorse possano essere usate sia direttamente in campo sanitario sia indirettamente per ragioni che sono effetto di questo shock sanitario. Il secondo auspicio, ma in realtà è una condizione essenziale, riguarda la creazione di strumenti di nuovo debito che vengano mutualizzati o tra i paesi membri o garantiti dal bilancio dell’Unione - una differenza forse più formale che sostanziale: che siano coronabond, eurobond o un recovery fund, qui l’aspetto rilevante è nell’idea di solidarietà che emergerebbe da una misura del genere. Ai minimi termini, significa che i paesi più virtuosi, quelli che possono indebitarsi a tassi praticamente nulli (in Germania i tassi di rendimento sui Bund sono stati addirittura negativi) garantirebbero per gli altri. 

In questo modo, tutti gli stati potrebbero beneficiare di tassi molto bassi e mobilitare risorse complessive – nella speranza dei proponenti – per oltre mille miliardi di euro complessivi. Proprio quella cifra shock che servirebbe per affrontare da subito e col piede giusto la crisi che ci ha investito e che, secondo alcune stime, porterà quest’anno il reddito europeo a crollare dell’8%. È evidente quindi che non si entrerà nella riunione di stasera per capire quale visione di Europa far emergere, bensì con l’intento di convincere tutti i membri che una sola è la visione possibile: quella della solidarietà storica e dell’aiuto reciproco. Valori che hanno in passato portato a superare difficoltà forse anche maggiori e che, proiettati al futuro, dovrebbero essere il viatico di un progetto economico e politico ancora più forte e stretto.

Naturalmente, bisognerà anche fare in fretta, per evitare che i danni economici di queste settimane si tramutino in condizioni di precarietà e di esclusione sociale irrimediabili. E di chi sarà la responsabilità maggiore del successo o del fallimento di questo progetto? La risposta è semplice: della cancelliera tedesca Angela Merkel. Oltre a essere leader del principale paese che si oppone alla proposta di mutualizzazione, Merkel si troverà dal primo luglio anche alla Presidenza del Consiglio dell’Unione. Per la seconda volta negli ultimi cento anni, la Germania si appresta a determinare gli equilibri mondiali e condizionare le sorti del continente. Basterebbe la storia a indicare la via da prendere in questa seconda occasione. Perciò è necessario – e questo è il nostro terzo auspicio - che la cancelliera abbia il coraggio e l’abilità di compiere le scelte giuste. Spazzando il campo, auguriamocelo, dall’idea di una Europa unita solo dalla moneta e non da un’idea di futuro. Qui si gioca il destino dell’Unione e delle residue capacità di leadership. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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