Dl Rilancio, pioggia di emendamenti: dai congedi allo smartworking, le novità
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La seconda reazione è tuttavia di sconcerto. Fermo infatti il concetto già espresso che la sopravvivenza non è un beneficio estemporaneo ma è un diritto, collegare questa nuova elargizione con l’illegalità manifesta di chi occupa abusivamente una casa non sarà un’istigazione a delinquere ma è certo il trionfo del ridicolo. Perché se è vero che il povero resta tale sia che abiti in una catapecchia di sua proprietà, sia che viva precariamente da clochard, sia che occupi abusivamente un’abitazione altrui, è altrettanto vero che in quest’ultimo caso l’illegalità diventa una sorta di “benefit”, come oggi si dice, che grava sui contribuenti onesti. Molti dei quali, soprattutto se a reddito basso e condannati a una tassazione demenziale, si domanderanno se davvero valga la pena di tirar la carretta “mugugnando e sudando sotto una vita gravosa ”quando potrebbero porvi fine se non proprio con un pugnale almeno con qualche espediente furbesco: come ad esempio l’obiezione fiscale o, meglio ancora, abbandonando ogni attività produttiva per godersi, si far per dire, la vita, alle spalle dei pochi che continuano a lavorare. La soluzione contenuta nel decreto, del resto, non ci sorprende più di tanto. Essa si inserisce in quella visione del mondo grossolanamente pauperistica dove i reciproci diritti e doveri dello Stato e dei cittadini si confondono in una buia notte indifferenziata, dove il rispetto delle regole è diventata un’opzione puramente metafisica.
Basti ricordare che tempo addietro un illustre prelato si calò a Roma nell’intercapedine di un palazzo abusivamente occupato per ripristinare l’energia elettrica interrotta per morosità degli utilizzatori.
Si trattò di un vero e proprio reato, anche perché furono rimossi e danneggiati i sigilli, ma non pare che la vicenda abbia avuto un seguito. Il principio dell’ “omnia munda mundis”, tutto è puro per i puri di cuore, si è convertito in quello che tutto è lecito per chi agisce per ciò che ritiene una buona causa. Un’ ultima considerazione. Assimilare i disabili e i malati gravi ai minori, come fa il decreto, è oltretutto irragionevole. Poiché la maggiore età arriva a diciott’anni, avremo famiglie magari in ottima salute che invocheranno il sussidio solo perché la loro abitazione - occupata abusivamente - è rallegrata dalla freschezza della gioventù. Mentre ci sono fior di attività che potrebbero benissimo esser esercitate - come già sono - da diciassettenni vigorosi, motivati e retribuiti. Ma nella sua caotica nobiltà assistenziale il decreto ha voluto inserire tutti i cosiddetti soggetti deboli, anche quando, a ben vedere, tanto deboli non sono. Se c’era un modo per dimostrare una rassegnata sfiducia in una ripresa fondata sull’iniziativa individuale, e sul rispetto delle regole, questo provvedimento ne ha dato un esempio funesto.