Restituire poteri/Rafforzare lo Stato per la sfida del secolo

Restituire poteri/Rafforzare lo Stato per la sfida del secolo

di Francesco Grillo
Mercoledì 22 Aprile 2020, 00:41 - Ultimo agg. 10:58
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Lo Stato ha avuto storicamente un ruolo decisivo per innescare e completare le grandi rivoluzioni industriali del passato. Ed è altrettanto vero che per uscire dalle crisi è fondamentale che - come disse il presidente americano Roosevelt, nel 1932, in un momento drammatico per il suo Paese - ci sia una forte volontà politica per rispondere al “terrore di un nemico sconosciuto” che può farci perdere il controllo dell’emergenza.

E, tuttavia, il limite della teoria è che trascura un dettaglio decisivo: se è vero che un governo capace di esprimere strategia è indispensabile per portarci nel futuro; e anche vero che, al contrario, trasformazioni tecnologiche radicali cambiano la natura stessa dello Stato, rendendo obsolete le strutture che, in Europa e negli Stati Uniti, concepimmo per governare un secolo finito vent’anni fa. È la stessa pandemia, a dimostrare che la democrazia liberale occidentale sembra non più capace di adattarsi a quella che assomiglia, sempre di più, ad una mutazione di cui questa strana guerra è solo una drammatica rappresentazione.

I numeri ufficiali (non sempre affidabili, ma netti negli ordini di grandezza) pongono, infatti, un vero e proprio paradosso: l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, la parte di mondo dove è concentrata tre quarti della spesa sanitaria e alla quale appartengono diciannove delle prime venti aziende farmaceutiche, occupa tutte e sei le prime posizioni della classifica dell’Organizzazione mondiale della Sanità, sia per contagi che per decessi da Covid19. Se tutte le ultime precedenti pandemie (Ebola, Sars, Hiv) avevano toccato ma non invaso la parte più ricca del mondo, oggi scopriamo di aver convissuto, per anni, con una vulnerabilità a cui nessuno era, davvero, preparato.

Troppo lenti appaiono i processi decisionali e troppo forti sono le eccezioni nella filiera che lega lo Stato centrale agli ospedali e alle famiglie: ne è dimostrazione estrema un Paese come l’Italia nel quale un sistema che ancora chiamiamo nazionale - uni ca strada alla tutela della salute pubblica - è frammentato in ventuno sanità regionali. Un handicap che, come è stato detto recentemente su queste colonne, va superato con una riforma urgente che metta al centro lo Stato dandogli l’ultima parola su materie e diritti di interesse collettivo, non parcellizzandoli nei localismi. 

Contraddittorio risulta, spesso, il rapporto tra libertà individuali e esigenza di difendere il diritto di una comunità alla propria sicurezza: di questo, è probabilmente esempio fragoroso l’idea di dover sviluppare – in Europa e in Italia – applicazioni in grado di seguire i movimenti delle singole persone, per identificare ed isolare possibili contagi. Esigenza che deve anteporre la sicurezza alla privacy, inevitabilmente, pur cercando un equilibrio. 

Poco consolidata è l’abitudine alla gestione del rischio che, oggi, i governi occidentali dimostrano: da apparati burocratici ridotti a fare da gestori di brandelli di potere, amministratori del presente, preoccupati del prossimo sondaggio, estenuati dalla mediazione continua, è difficile pretendere un sogno capace di mobilitare talenti ed entusiasmo. 

La malattia dell’Occidente è, dunque, molto probabilmente dovuta all’assenza di uno Stato o, per essere più precisi, di una volontà collettiva sufficientemente condivisa da concepire un progetto di trasformazione che non può essere affidato solo alla lodevole iniziativa dei singoli, il cui coraggio è, comunque, indispensabile. Senza Stato, senza una percezione di cosa può, ad esempio, succedere se un sistema sanitario collassa, le crisi si moltiplicano e si perdono, persino, i treni dell’innovazione. Manca all’Occidente una strategia per completare una rivoluzione tecnologica che l’Occidente stesso ha avviato e di cui, però, sembriamo aver perso il controllo.

E, tuttavia, per non cadere dalla padella di mercati assai imperfetti alla brace di una burocrazia inefficiente, se davvero volessimo che lo Stato ricominci ad essere il centro decisionale efficace che deve essere, sono necessarie tre condizioni. 

Dobbiamo immaginare meccanismi completamente nuovi di selezione di classi dirigenti all’altezza della sfida. Costruire un rapporto nuovo tra cittadino e Stato che proponga un equilibrio diverso tra individuo e società, responsabilità e libertà personale. Di una ridistribuzione di poteri che non può essere messa in discussione ad ogni legislatura e che renda massima l’efficienza e la velocità con la quale si gestiscono risorse scarse e la vicinanza alle persone che esprimono bisogni sempre più complessi.
 
Esistono tra le democrazie liberali, quelle che appaiono avere più capacità di condividere obiettivi comuni. Forse perché governano società che sono rese più coese dalla memoria di una storia recente passata a combattere per il proprio diritto a rimanere uniti. A buona parte dell’Occidente di sviluppo più consolidato manca, forse, proprio questo per tornare a concepire un progetto di futuro: l’idea di non dover dare più per scontate conquiste si stanno sgretolando.
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