E così al posto di comporre un messaggio unitario - o meglio “univoco” secondo l’espressione di Mattarella - su come comportarsi nell’emergenza e su come cercare di superarla prevale la cacofonia. La confusione delle lingue, l’affastellarsi disordinato di conferenze stampa, annunci, sipari e siparietti dei leader, dei partiti di maggioranza e di opposizione, dei presidenti delle regioni, del governo in ordine ordine sparso con i suoi ministri e i suoi pasticci. E mentre piovono continui videomessaggi del premier, il quotidiano bollettino medico in diretta tv delle 18 a cura del capo della Protezione civile non si capisce bene se serva a placare l’ansia o se contribuisca a produrla, e sarebbe preferibile un’informazione più specialistica magari affidata affidata a un tecnico in grado di dare spiegazioni in materia sanitaria ed epidemiologica.
Il fatto è che l’overdose mediatica svia e confonde e non fa bene a nessuno. Dovrebbe averlo imparato la classe dirigente dei partiti e di governo: non è così che si acquistano meriti e consenso. Ieri ha parlato il Capo dello Stato e sembra questa la via più virtuosa e più opportuna, l’unica comunicazione che ha davvero senso. Quella del presidente che rassicura la nazione come fosse una famiglia, a cui andrebbe accompagnata - sul terreno clinico e scientifico - la voce qualificata e non sovrabbondante di un esperto.
Proprio perché la politica, in tempi di crisi di popolarità, s’è assunta l’onore di un intervento coraggioso e ambizioso al punto di occuparsi direttamente dei nostri gesti quotidiani (soffiarsi il naso, salutare senza stretta di mano, evitare luoghi affollati) e della nostra socialità (chiusura o regolamentazione di scuole, stadi, musei, bocciofile, teatri, cinema, palestre), deve dimostrare di essere all’altezza della sfida intrapresa, anche sapendola gestire dal punto di vista dell’informazione pubblica. Evitando tatticismi, incertezze e fughe di notizie. Circo mediatico, non e poi no. Perché ricaccia l’Italia nel cliché di Paese retorico e inconcludente che non solo non fa bene alla nostra immagine agli occhi del mondo ma anzitutto la degrada nel giudizio di noi stessi. Producendo un danno patriottico di cui rischiamo di pagare il conto a lungo.
Non stiamo dicendo, in questo caso, che il silenzio è potere. Anzi, mai come stavolta il potere deve parlare e spiegare. Ma la trasparenza si perde, se invasa e fiaccata dall’iper-comunicazione incontrollata e in fondo autoreferenziale. Credibilità e responsabilità sono le parole più usate e più abusate in questa fase. Per trasformarle da feticci in fatti, e creare vera convergenza nazionale su di esse, basterebbe poco ed è quel che chiedono al governo i cittadini: conoscere per deliberare, senza straparlare.
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