di Carlo Nordio
Lunedì 31 Maggio 2021, 00:10 - Ultimo agg. 00:32
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Cominciamo dai fatti. Dopo il disastro della funivia del Mottarone, la Procura della Repubblica di Verbania ha disposto il fermo, cioè la carcerazione, di tre indagati: l’amministratore unico Luigi Nerini, il direttore di esercizio Enrico Perocchio e il responsabile del servizio Gabriele Tadini. Era un provvedimento assai ardito, perché l’arresto di una persona può avvenire solo quando è colta in flagranza di reato oppure quando vi è la probabilità che reiteri il delitto, o inquini le prove o predisponga la fuga. 

Ma in questi tre casi la custodia cautelare deve essere disposta dal Giudice delle indagini preliminari: soltanto eccezionalmente, se proprio l’indagato ha le valigie in mano, il fermo può essere disposto dal Pubblico Ministero, che però deve chiederne subito la convalida al Gip. 
Nel caso in questione, il Gip ha dichiarato illegittimo il fermo, ha mandato Tadini agli arresti domiciliari e ha disposto la liberazione degli altri due indagati, perché nei loro confronti non c’erano né indizi di colpevolezza né tantomeno sospetti di fuga.

Nella lunga motivazione, il Gip critica in modo severo l’iniziativa del Pm, che aveva spedito tutti in galera «anche in considerazione dell’eccezionale clamore mediatico suscitato dalla vicenda».

Una circostanza che il Giudice considera «irrilevante e inconferente». E ora il commento. Giuridicamente parlando, la decisione del Gip è ineccepibile. Piuttosto è da domandarsi come un Procuratore della Repubblica abbia potuto esprimersi con espressioni così eccentriche, del tutto estranee alla lettera del codice. E qui le questioni sono molte, ed è bene che siano emerse in un procedimento di «eccezionale clamore mediatico» perché fanno emergere alcuni dei tanti difetti del nostro sistema penale.

Primo. Il Pm di Verbania ha messo inavvedutamente per iscritto quello che i suoi colleghi fanno assai spesso senza dirlo: incarcerare gli indagati non perché stiano scappando o inquinando le prove, ma per placare l’allarme sociale. Ci sono cioè dei delitti che suscitano una tale reazione emotiva da stimolare il superamento della legge formale. Si pensi al caso di un uxoricidio dovuto a un impeto di gelosia: il (la) colpevole si costituisce e confessa. In teoria non potrebbe essere arrestato, perché non può reiterare il reato - avendo ammazzato l’unico coniuge - né inquinare le prove (perché ha confessato) né tantomeno scappare, perché si è, appunto, costituito.

Ma potrebbe la società sopportare la liberazione immediata di una persona che ha strangolato la moglie, o sparato al marito? Evidentemente no. E allora si ricorre a un surrogato di motivazione, e si inventa qualcosa. 

Nel caso di Verbania, il Pm ha assecondato l’ira funesta del popolo che chiedeva la consueta libbra di carne di un colpevole purchessia. Fortuna ha voluto che trovasse, come si dice, un giudice a Berlino. Ma oltre a Berlino c’è anche Mosca, o Il Cairo. 

Secondo. Se il Pm ha commesso un grave errore, molti dei mass media ne sono stati gli ispiratori. Quando, nell’immediatezza del fatto, scrivemmo su queste pagine che la tragedia poteva anche imputarsi all’affrettata riapertura di impianti paralizzati dalla parentesi del Covid, avevamo messo in conto anche quella che si chiama “colpa con previsione”: cioè la violazione di norme anti-infortunistiche per recuperare introiti perduti. Ma proprio perché la responsabilità penale è cosa seria, avremmo auspicato maggiore prudenza nell’individuare le cause del disastro e le relative responsabilità.


E invece si è subito scatenata una caccia crudele, nella peggior tradizione di voler trovare, subito e ad ogni costo, un capro espiatorio. Ancora una volta la presunzione di innocenza ha ceduto all’emotività popolare, e mentre persino Di Maio recita un salmo penitenziale per il suo regresso giacobinismo, questo vizio della condanna a mezzo stampa ritorna sotto altre sembianze. 

Terzo e ultimo. Anche un solo giorno di galera ingiustificata è un trauma indelebile che condiziona la vita, la salute e l’onore. Se il Pm di Verbania ne ha fatto un uso improprio, è stato perché la legge glielo consentiva. E poco importa se un Gip entro poche ore, o il tribunale del riesame entro pochi giorni, o la Cassazione entro alcuni mesi vi pongono riparo. Il danno è fatto, ed è irrimediabile. 

Ebbene non è possibile, non deve essere possibile che - salvo i casi di flagranza - questo nostro bene primario possa essere affidato alla discrezionalità di un singolo magistrato. La carcerazione preventiva deve essere l’eccezione dell’eccezione, e come tale deve essere affidata a un organo collegiale, meglio se distante anche topograficamente dall’Ufficio che la richiede. Ad esempio una sezione presso la Corte d’Appello, composta da tre giudici esperti. 
Una modesta proposta per la ministra Cartabia, che purtroppo sta cercando di curare il cancro del nostro sistema fallito con modeste cure palliative.

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