di Carlo Nordio
Lunedì 27 Dicembre 2021, 00:28
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Durante la conferenza stampa di fine anno, il presidente Draghi ha annunciato il raggiungimento dei 51 obiettivi concordati con la Commissione Europea per ottenere la prima rata degli aiuti previsti nel Piano di ripresa e resilienza (Pnrr). Ha anche aggiunto che il cammino è ancora lungo, e che occorrerà lavorarci sopra. 
Sono due affermazioni complementari, e altrettanto ineccepibili. Qui ci occupiamo del tratto ancora da percorrere per ottenere una giustizia quantomeno decente. Ma prima una considerazione di ordine generale. 
Il compito primario, se non esclusivo, affidato al governo era vitale ma limitato: gestire la pandemia, e predisporre un progetto sufficiente a ottenere i sussidi europei. In questo senso gli obiettivi sono stato raggiunti, e Draghi può dirsene orgoglioso. La nomina del generale Figliuolo - che ha rimediato con l’intelligenza del pianificatore e l’energia del militare, alle infelici iniziative dei banchi a rotelle e delle “primule” arcuriane - ha assicurato il rilancio dell’attività economica e una buona protezione anche contro le minacciose varianti virali. 
Nei confronti della Ue, il successo è testimoniato dalla tenuta dei mercati e dagli elogi persino della stampa estera più diffidente verso la nostra attitudine dissipatrice. 

E quanto alla giustizia, la ministra Cartabia ha inaugurato un indirizzo virtuoso sconosciuto ai suoi predecessori. Le sue recenti riforme sono, per usare un’espressione di Benedetto Croce, piccoli monumenti di sapienza giuridica. Tuttavia sono essenzialmente simbolici, perché c’è ancora molto da fare: qui il cammino non è solo lungo, come ha detto Draghi, ma dannatamente insidioso.

Dunque andiamo per ordine. Il codice penale, che prevede la struttura del reato e il catalogo dei delitti e delle pene, è del 1930. E ciò la dice lunga sulla schizofrenia del nostro legislatore, che vorrebbe punire chi parla bene di Mussolini, in base a un codice che reca il suo nome. E non è tutto. Paradossalmente, dopo quasi 75 anni di Costituzione “nata dalla Resistenza”, il codice penale regge molto meglio di quello di procedura, firmato da Giuliano Vassalli, partigiano socialista e pluridecorato.

Questo testo è stato infatti mutato, integrato, alterato e scombinato da diventare un’arlecchinata dove nessuno capisce più nulla. Anche il lettore refrattario al giuridichese può accertarsene sfogliandone le pagine, dove sotto ogni articolo ci sono altrettante righe in corsivo che ne documentano le modifiche.
La riforma Cartabia vi ha messo qualche toppa: tuttavia, come insegna il Vangelo, non si può mettere il vin buono nella botte marcita. Il codice di procedura andrebbe integralmente rifatto, attuando l’indirizzo liberale auspicato dal povero Vassalli e miseramente franato. Vasto programma.
Poi l’ordinamento giudiziario.

Anche qui Cartabia ha fatto quasi un miracolo, prodigandosi per impedire le cosiddette porte girevoli, cioè il ritorno in toga dei magistrati entrati in politica. Ancor più meritevole è stata la limitazione delle esternazioni nei confronti degli indagati, e nella riaffermazione della presunzione di innocenza. Si tratta ora di vedere come queste norme saranno applicate, perché quelle esistenti sono sempre state disattese. Vedremo.

Infine il Csm. Qui la confusione è enorme. Dopo lo scandalo Palamara, che ha fatto emergere la baratteria delle cariche da parte delle correnti, la credibilità di questo organo è precipitata. A darle il colpo di grazia è stata la ripetuta bocciatura da parte dei giudici amministrativi della nomina del Procuratore della Repubblica di Roma, finalmente sostituito pochi giorni fa dopo anni di contenzioso. 

Ora le proposte di riforma riguardano il sistema elettorale dei suoi membri. Sarà una fatica inutile, perché le correnti escogiteranno mille artifici per mantenerne il controllo, spartendosi le circoscrizioni attraverso accordi di desistenza, come hanno fatto i partiti nel ‘94 dopo l’introduzione del sistema uninominale. 
L’unico rimedio a tale degenerazione è il sorteggio, cui cominciano ad aderire toghe autorevoli, come il superprocuratore antimafia, e persino alcune appartenenti allo stesso Csm. Ma per fare questo bisognerà cambiare la Costituzione. 

Come si vede, tutti i pilastri della nostra giustizia penale, cioè i due codici, l’ordinamento giudiziario e il Csm sono da rivedere o addirittura da ricostruire. E’ un lavoro immenso che comunque, per quanto buona sia la volontà di un ministro e di un governo, spetta al Parlamento. 
Ma è un lavoro che va fatto, per citare Draghi, “Whatever it takes”. O meglio, per citare Churchill, “Whatever the cost and the agony may be”: quali che siano il costo e le difficoltà. Perché le difficoltà saranno enormi, e i costi dolorosi per chi proverà a metterci mano. A meno che l’esito dell’imminente referendum non dia un segnale forte ed univoco della volontà riformatrice del popolo italiano. 

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