Draghi, il programma ambizioso che mette all’indice gli aiuti di Stato

Draghi, il programma ambizioso che mette all’indice gli aiuti di Stato

di Paolo Balduzzi
Giovedì 18 Febbraio 2021, 00:35 - Ultimo agg. 15:05
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Più che a palazzo Madama sembrava quasi di essere a palazzo Koch: il discorso del primo ministro Draghi, rigoroso e ricco di dati quasi fossero le sue “Considerazioni finali” da governatore della Banca d’Italia, ha chiarito i temi e le riforme che verranno affrontate dal governo nei prossimi mesi. Un elenco impressionante, sia per la quantità dei temi affrontati sia per il loro contenuto. Una visione davvero poco elettorale e non certo solo di breve periodo, nonostante la necessità di affrontare ancora l’emergenza sanitaria ed economica. 

Una vera novità nel panorama politico italiano, verrebbe quindi ironicamente da concludere. Una visione, si diceva, poco elettorale ma sulla cui realizzabilità pesano due macigni. Il primo è quello del tempo a disposizione, visto che mancano solo due anni alla fine della legislatura. Il secondo è invece quello della tenuta della maggioranza. Che, secondo le previsioni, si è confermata molto ampia al Senato ma che potrebbe cominciare a scricchiolare quando si dovranno affrontare i temi più delicati del programma di governo. 

Chissà se oggi alla Camera il premier si presenterà con qualche novità rispetto al suo discorso di ieri. Di fatto, la carne al fuoco è già moltissima. Si comincia con la rifinitura del Piano nazionale di riforma e resilienza (Pnrr), che sarà orientato a uno sviluppo sostenibile, nel solco degli obiettivi europei di azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica entro i prossimi trent’anni. 

Va da sé, un’impostazione del genere richiede una cabina di regia necessariamente sotto la guida del ministero dell’Economia ma in cui un ruolo cruciale potrà e dovrà avere anche il neo ministero della Transizione ecologica.

Parallelamente si procederà all’implementazione di un piano vaccinale rapido ed efficiente: una necessità sanitaria, certo, ma anche economica e sociale. Il Paese è infatti allo stremo: dopo un anno terribile per le perdite umane, le libertà limitate, i redditi ridotti, gli ulteriori sacrifici che verranno richiesti, anche se fossero sacrosanti, saranno sempre meno accettati. Proprio per questo motivo, bene farà il governo a osservare attentamente anche le migliori esperienze internazionali e a vigilare affinché le forniture di vaccino siano consegnate nei tempi e nelle dosi stabilite. Fin qui, però, bisogna ammetterlo, si rasenta l’ovvietà del buon senso. 

È nella visione di medio periodo che il discorso di Draghi segna decisamente un cambio di passo rispetto al passato. Lo fa in termini generali e anche nello specifico delle materie più economiche: ci vuole coraggio per dichiarare, nel giorno del voto di fiducia, che nessun lavoratore sarà lasciato solo ma che, contestualmente, non verranno protette tutte le attività economiche. 

E ci vuole saggezza per ammettere che lo Stato dovrà assumersi la responsabilità di scegliere quali attività aiutare e quali invece abbandonare. Così come ci vuole lungimiranza per impegnarsi affinché il sistema economico si possa adattare velocemente e i lavoratori riqualificarsi in maniera adeguata. Da un lato, questo è finalmente un richiamo alla necessità di premiare il merito; dall’altro, è però anche l’invito ad accettare che la pandemia ha per certi versi cambiato il mondo. 

L’emergenza sanitaria è stata paragonata a una guerra. Ma a ben vedere è anche paragonabile a una nuova rivoluzione industriale. Ed è il destino di ogni rivoluzione industriale quello di creare opportunità sulle ceneri di ciò che, anche repentinamente, è diventato anacronistico. 

Per dirla alla Schumpeter, sarà compito dello Stato e dell’imprenditorialità individuale quello di estrarre da tutta questa distruzione una forza creatrice di nuove attività economiche.

Chissà se questo principio si applicherà anche alle note ex grandi aziende che da anni sopravvivono fuori dal mercato solo a spese dei contribuenti. 

Lo Stato dovrà quindi fare sia dei passi in avanti sia dei passi indietro. Passi in avanti nella protezione dei redditi, nell’investimento in competenze, nella valorizzazione del capitale umano; passi indietro nell’assistenzialismo che invece ha caratterizzato la politica sociale e industriale italiana degli ultimi decenni.

Coraggioso è stato anche il richiamo alla necessità di una riforma fiscale organica. Da questo punto di vista, sarà di grande aiuto la meritoria attività di audizioni congiunte che le Commissioni Finanze della Camera e del Senato stanno portando avanti ormai da diverse settimane. Certo, sarà interessante vedere come potranno convivere i sostenitori dell’aliquota unica (la “flat tax” della Lega) con i sostenitori della progressività continua (cioè il modello tedesco sponsorizzato dal Partito democratico).

Interessante il modello danese citato da Draghi, per diversi motivi. Il primo è per il ruolo della Commissione di esperti: si tratta di un metodo eccellente sulla carta, che però dà risultati solo quando politica ed esperti godono di fiducia reciproca. Basti infatti pensare al destino della Commissione Cottarelli del 2014 sulla spending review: un lavoro monumentale che avrebbe dovuto diventare una pietra miliare nel procedimento di bilancio dello Stato e che è invece stato liquidato e mai applicato sin dai tempi dell’allora premier Matteo Renzi. 

Il secondo motivo è che la Danimarca, da buon Paese scandinavo, ha una pressione fiscale decisamente elevata. Forse solo gli addetti ai lavori hanno notato che Draghi ha enfatizzato sì la diminuzione di ben due punti percentuali della pressione fiscale in Danimarca, e tuttavia non ne ha citato il livello. 

La verità è che la riforma fiscale dovrà basarsi su due pilastri, strettamente collegati: il primo è quello di una riscrittura dell’Irpef, che va dal riordino delle cosiddette spese fiscali (deduzioni e detrazioni) allo sgravio dei redditi da lavoro, che oggi costituiscono ben l’80% della base imponibile ai fini Irpef; il secondo pilastro è il taglio della spesa (e quanto sarebbe utile fare la spending review!): senza tagli è impensabile una vera riduzione delle imposte.

Non potevano infine mancare a un programma di governo di questo tenore anche la riforma della giustizia e quella della pubblica amministrazione. Anche qui, più che i richiami, la grande novità sarà dimostrare la volontà di fare davvero queste riforme. La creazione di un ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale fa, in questo senso, ben sperare. Che Draghi abbia mantenuto lo stile e il rigore da governatore della Banca d’Italia è al momento una buona notizia.

A differenza di quel ruolo, però, il premier dovrà ricordarsi ogni giorno che la durata in carica di un primo ministro è ben più breve di quella di un governatore centrale. E che le insidie politiche, anche tra i collaboratori più stretti, sono sempre possibili. Se il governo riuscirà a realizzare anche solo una parte di quanto promesso, potremo certamente guardare alle sfide e ai pericoli del futuro con molta più fiducia di quanta ne nutriamo oggi.
 

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