di Paolo Pombeni
Lunedì 23 Maggio 2022, 00:03
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Le fibrillazioni politiche aumentano di intensità e Draghi corregge la sua impostazione: non sembra più puntare sul «lasciamoli sfogare, tanto è solo retorica pre-elettorale», ma decide di prendere di petto la situazione. Probabilmente ha visto che la ricerca di modeste mediazioni serve a poco: sul catasto è servita a Salvini per sostenere di avere salvato la casa agli italiani, mentre Conte non smetteva di bombardare il governo e chiedeva in contraccambio una marcia indietro sul termovalorizzatore (smettiamola di chiamarlo inceneritore) a Roma. 
Il tutto a rischio di mandare in tilt la delicatissima partita dei fondi del Pnrr, tenendo anche conto che si stavano levando voci insistenti (e poco responsabili) tese a dipingere un premier che alla fine era sempre disposto a concedere qualcosa al centrodestra incurante della coerenza del suo programma.


La delicatezza del passaggio è stata sottolineata ieri dal commissario Ue per l’Economia, Paolo Gentiloni, che ha messo nero su bianco lo stato della questione: finito il tempo dei ristori senza limiti, la crisi riaccende le esigenze di distribuire altre risorse a membri Ue che sinora non ne avevano fatto richiesta, ci saranno esigenze di bilancio per far fronte alle nuove spese indotte dalla crisi bellica, l’Italia deve stare attenta a non perdere credibilità. Il messaggio è stato recepito da una parte almeno degli interlocutori. 


Addirittura in anticipo rispetto alla pubblicazione dell’intervento da parte di Silvio Berlusconi, che si è affrettato a rimangiarsi le esternazioni avventate sulla crisi ucraina, non solo ribadendo europeismo e atlantismo, ma sottolineando il sostegno di Forza Italia a Draghi. E a stretto giro anche Salvini ha replicato con la solita demagogia dell’appello all’orgoglio populista che non si fa dettare la linea da Bruxelles (che però vuole tenersi stretti i soldi che verranno da lì). Silente invece Conte, alle prese con un partito che gli si sta sfaldando fra le mani, salvo lasciar sfogare qualche seconda fila a sventolare la bandierina del no al termovalorizzatore a Roma (con la solita scusa che il problema dei rifiuti, che non possono negare, si può risolvere col solito «ben altro»).


È arduo non vedere la progressione di una crisi politica che, a titolo diverso, coinvolge tutti i partiti. Certo permangono le considerazioni secondo cui una caduta del governo è quasi impossibile con la crisi ucraina e quel che ne consegue ancora in corso e con la necessità di garantirsi i finanziamenti del Pnrr.
Secondo questa lettura alla fine un qualche compromesso sui punti controversi si troverà, ma non si considera che ormai è in gioco la credibilità del governo nella sua opera di direzione a fronte di un momento molto complesso.


Si sottovaluta che quando non si può distribuire allegramente qualcosa a tutti, l’arroccarsi nella difesa dei privilegi di questa o quella corporazione genera spaccature in quelle parti del proprio elettorato che patiranno poi le conseguenze delle scelte troppo settoriali. Il tempo delle vaghe ideologie che compattavano tutti sotto cappelli di comodo (siamo tutti lavoratori, tutti vittime del fisco, tutti imprenditori di noi stessi, e via elencando) sta tramontando: chi paga regolarmente le tasse ha ormai capito che lo fa anche per chi allegramente evade, tra il lavoratore ipertutelato e quello piuttosto precario c’è una bella differenza, e avanti di questo passo.
In un contesto del genere andrebbe presa in seria considerazione la ormai prossima scadenza elettorale, che non può essere giocata semplicemente eccitando schieramenti bipolari abbastanza fasulli. 


I maggiori partiti attuali hanno tutti qualche interesse a mantenere questo schema per una duplice ragione.

La prima è che ognuno dei due cosiddetti “poli” spera che obbligando l’altro a stare insieme lo si indebolisca perché si faranno emergere le sue contraddizioni interne. Molto evidente il problema nel centrosinistra, dove il cosiddetto campo largo deve tenere insieme un Pd tutto sommato partito, che ha un occhio alla responsabilità di sistema, con un M5S percorso da vecchie demagogie grilline che convivono con maturazioni che non riescono a darsi forma, mentre l’ala cosiddetta centrista non trova ancora modo di superare i personalismi attorno a cui si è formata.


Il tema però non è affatto assente nel centrodestra, dove si devono tenere insieme la linea alternativista e vagamente sovranista della Meloni, la demagogia senza punti di riferimento di Salvini, i percorsi della Lega di governo, nonché gli ondeggiamenti di FI. Tutta roba che in questo campo, come in quello dirimpettaio, porrà un sacco di problemi al momento di spartirsi i collegi.


La seconda ragione che spinge a tenersi questo schema bipolare è che esso sembra in grado di obbligare alla compattezza interna partiti che sono percorsi da lotte di corrente, quando non addirittura di fazione. Se si sarà obbligati a spartirsi le risorse dei collegi (fra il resto ridotte di un terzo) nel quadro di una ampia alleanza, tutti avranno interesse a compattarsi dietro la propria bandiera tradizionale, altrimenti finiranno fuori dai giochi.
A nostro modesto giudizio il sistema elettorale attuale presenta il fortissimo rischio di divenire un moltiplicatore dei meccanismi di frantumazione del sistema Italia nel suo complesso. Rincorrendo il mito della conoscenza del futuro premier la sera stessa delle elezioni si finirà probabilmente, ben che vada, ad avere un premier debole con alle spalle il programma di una coalizione confusa. 


Forse sarebbe meglio consentire che un sistema elettorale di tipo proporzionale ben temperato producesse un confronto chiaro fra diverse proposte e che si potesse poi costruire una maggioranza fra quelle che troveranno una compatibilità fra le loro proposte appoggiandole su un consenso elettorale misurato in maniera appropriata. Naturalmente di questi tempi è un sogno ingenuo che ha poche possibilità di avverarsi, ma questo ci riporta al punto di partenza. Se non si trova il modo di sbloccare questa improvvida lotta di tutti contro tutti non solo ci giocheremo l’attuale equilibrio intorno all’esperimento di Draghi, ma c’è la possibilità che esso finisca e non in maniera poco traumatica, prima dei tempi previsti.

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