Roma, il mondo capovolto di Virginia Raggi: l’ordinario diventa un suo successo

Roma, il mondo capovolto di Virginia Raggi: l’ordinario diventa un suo successo

di Mario Ajello
Domenica 23 Agosto 2020, 00:05 - Ultimo agg. 22:12
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Il marciapiede rifatto: che miracolo! Il lampione riacceso: questo sì che è Governare! E che portento quella pista per le bici ad Ostia tutta bella e nuova, se non fosse che i ciclisti rischiano di sbattere contro le auto che l’affiancano. Il trionfalismo della sindaca Virginia Raggi ha qualcosa di surreale.


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Ogni giorno un annuncio epocale per minimi rammendi urbani che dovrebbero essere ovvii e naturali. Siamo alla normalità spacciata per magnificenza. All’ordinario (fuori tempo massimo) che diventa straordinario. Ma che mondo è il mondo di Virginia? Un mondo capovolto in cui i romani, dopo 4 anni di nulla, dovrebbero gioire ad esempio per l’annuncio dell’assessore Meleo che è stato eroicamente riparato «un ascensore guasto in una palazzina popolare a La Rustica».

Tutto ciò suona quasi come un’ultima beffa, da campagna elettorale appena cominciata per il bis. Virginia twitta le sue gesta altisonanti - «La scalinata a Balduina è di nuovo pulita e libera» - e i cittadini invece di festeggiare la sindaca che vuole riesserlo ancora si chiedono vicendevolmente: «Ma a Roma serve una piccola fiammiferaia, o dobbiamo aspirare ad altro?».

Ad altro, è la risposta che si danno tutti. E invece, no: la neo-Raggi in corsa per una (improbabilissima) rielezione è quella che - dopo non aver badato in questi anni alla manutenzione ordinaria, prerequisito di ogni discorso, né essersi concentrata sui grandi progetti per una grande Capitale - prova la carta del minimalismo da capa-condominio, del tardivo bricolage. E si presenta così a un voto, nel 2021, momento specialissimo perché coincide con il centocinquantenario dell’istituzione di Roma Capitale dello Stato unitario, che - anche per via della coincidenza storica - oltre che del declino da arrestare in grande fretta, mai come in questo caso necessita di essere rimessa al passo delle grandi ambizioni nazionali e internazionali, che costitutivamente le appartengono. Disboscare le ortiche e i rami caduti? Ma certo! E che bisogno c’è di dire, come gran vanto, che un cassonetto è stato rialzato da terra? Un cassonetto non dovrebbe stare dritto per natura?

Ma evviva, «voglio annunciare...»: che è stata anche rimessa a posto l’area bimbi a Villa Borghese. Come se fosse normale il restare chiusa. Un sindaco aggiusta-tutto ci sta bene. Non se lo fa però al crepuscolo di una sindacatura vuota, e con l’aria di dire: io vi salverò. E non se la Virgy delle piccole cose diventa, come è chiaro, un espediente per evitare quelle grandi. Non meriterebbe un tweet la fine della fuga delle aziende da Roma, o il risanamento della municipalizzate, o una vera innovazione infrastrutturale della Capitale, o il superamento dell’incubo della raccolta della spazzatura, o l’assegnazione a questa città finalmente di veri poteri pieni e degni di una Capitale come accade nel resto d’Europa, a Parigi e Berlino, o il prosciugamento della palude della burocrazia capitolina?

Questi sono i tweet che non ci sono e che non ci saranno, perché manca l’oggetto su cui poggiarli. Ovvero l’aspirazione a dare a Roma ciò che dovrebbe essere di Roma. Non si può chiedere alla sindaca uscente - ma figuriamoci! - d’ispirarsi agli antichi: «Questa gente lavorava per l’eternità», esclamò Goethe ammirando i Fori e la tomba di Cecilia Metella. Ma si potrebbe pretendere da lei, e sopratutto da chi le succederà, la constatazione che lo stato di salute economico, sociale, ideale di Roma coincide con quello dell’intera nazione, essendo Roma l’unica metropoli italiana che elevando o avvilendo se stessa eleva o avvilisce l’Italia intera. E ha stravinto l’avvilimento in questi anni da non ripetere. Il punto della questione Raggi è che non si capisce chi e che cosa glielo faccia fare di ripresentarsi. Anzi, si capisce benissimo. Riproporre se stessa, in combutta con Grillo e Di Maio, significa il “libera tutti” dall’incubo del divieto del terzo mandato non solo per gli amministratori locali ma soprattutto per i parlamentari M5S.

La piccola fiammiferaia salva l’amico Luigi, Fico, la Taverna, i ministri stellati, i big del movimento e tutti gli altri neo-movimentisti diventati super-partitisti dalla pensione anticipata. E garantisce a se stessa un posto nel governo come sottosegretaria (specie se aiuta il Pd a giocarsi nel secondo turno la partita di Roma che sembra più da volemose bene che da grande guerra rosso-gialla) e la candidatura in Parlamento con i 5 stelle (se ancora esisteranno) nel 2023. E in tutto ciò, i romani dovrebbero accontentarsi di una panchina ripitturata o di un’erbaccia in meno. Quando si parla di Roma, serve scomodare i padri della patria. Ebbene, Mazzini - in uno dei momenti più cupi per la Capitale, ossia nel tracollo della Repubblica romana - scrisse: «Speriamo che passi questa nerissima nube che mi sfascia l’anima». Sembra un po’ il mood di tanti romani oggi, ma da qui alla primavera 2021 manca purtroppo quasi un anno.

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