Il caso Storari/Il coraggio di un pm nella procura dei veleni

Il caso Storari/Il coraggio di un pm nella procura dei veleni

di Carlo Nordio
Giovedì 5 Agosto 2021, 00:05 - Ultimo agg. 22:24
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Con una decisione rapida e per molti inattesa, il Csm ha respinto la richiesta del Procuratore generale della Cassazione di trasferire il sostituto procuratore di Milano Storari per incompatibilità ambientale. Sulla rapidità potremmo anche plaudire, benché in altri casi il Csm non sia stato altrettanto sollecito. La sorpresa deriva dal fatto che sul comportamento di Storari si erano espressi in termini critici praticamente tutti, e il suo capo, con cui deve pur continuare a lavorare, l’aveva accusato di “slealtà e menzogne”. Che non è cosa da poco. Ma forse sarà necessario un breve riassunto della vicenda.


Nel corso delle sue indagini, il pm Storari riceve dal controverso avvocato Amara rivelazioni sensazionali: gran parte della magistratura sarebbe condizionata da una loggia segreta di cui farebbero parte politici, giudici e altri importanti figuri. Ce n’è abbastanza, pensa il Pm, per iscriverne nel registro degli indagati gli appartenenti, se Amara ha detto il vero, o per iscrivere quest’ultimo per calunnia, se ha detto il falso; oppure entrambe le cose, con quella che si chiama imputazione alternativa.


Passano le settimane, passano i mesi e Storari si accorge che non si è proceduto a nessuna iscrizione. A questi punto le versioni divergono, ma una cosa è certa: ritenendo che questa inerzia sia comunque anomala,  per non dire peggio, Storari consegna i verbali secretati a Piercamillo Davigo, membro del Csm, che a sua volta li mostra ad altri colleghi o addirittura a politici. Per questi fatti Storari e Davigo risultano - a quanto si apprende dalla stampa - indagati a Brescia per rivelazione di segreti d’ufficio. Questo significherebbe che i due erano già d’accordo rispettivamente nel dare e nel ricevere i documenti, altrimenti Davigo sarebbe stato indagato di ricettazione.

In seguito si apprende che Storari, magari sbagliando nella forma, aveva forse ragione nella sostanza, perché il Procuratore capo di Milano, Francesco Greco, avrebbe effettivamente dovuto procedere all’iscrizione sollecitata dal giovane collega: non avendolo fatto, anche Greco è indagato a Brescia per omissione o ritardo di atti d’ufficio. Ma perché questo ritardo ci sarebbe stato? Qui la questione si complica e si aggrava. Pare, sempre secondo la stampa, che Greco avrebbe ritardato questa iscrizione per paura che compromettesse il processo in corso nei confronti dei dirigenti Eni, dove Amara era un teste fondamentale, e dove l’accusa era rappresentata dal procuratore aggiunto De Pasquale.

Senonché il tribunale non solo assolve gli imputati del caso Eni, ma bacchetta severamente questo pm per aver scorrettamente omesso di depositare, come sarebbe stato suo dovere, alcuni verbali favorevoli agli imputati. E infatti anche De Pasquale, risulterebbe indagato a Brescia.

A questo punto, il procuratore generale della Cassazione, Salvi, inizia un fulmineo procedimento cautelare contro Storari, chiedendone il trasferimento urgente. Ed ecco il colpo di scena: 50 magistrati della procura e 23 Gip, oltre ad altri giudici del tribunale di Milano firmano un documento in cui dichiarano di lavorare benissimo accanto al collega incolpato, che quindi dovrebbe restare dov’è. E ieri il Csm , ha dato loro ragione.


Esausto e confuso, il lettore si domanderà se abbiamo raccontato una comica favola di Rabelais o un truce dramma elisabettiano. Superato lo sgomento, e verificate le fonti, la sua confusione diventerà sconforto, e lo sconforto rabbia, soprattutto se una volta ha avuto a che fare, come il carrettiere Crainquebille, con la maestà della Legge e di chi l’ha applicata. Ma questo lettore si domanderà soprattutto che senso abbiano le petulanti litanie che da anni si sente propinare dai vertici delle toghe sull’autonomia e l’indipendenza della magistratura, sulla sua funzione di moralizzatrice dei costumi e di lotta al malaffare, sulla selezione rigorosa e meritocratica dei suoi capi, e sulla cosiddetta cultura della giurisdizione che ne assicura la nobile imparzialità. Insomma si domanderà se tutte quelle edittazioni solenni e quelle suggestioni enfatiche con cui la magistratura si è sempre autocertificata come garante delle più elette virtù civili, si stiano convertendo in un lugubre banchetto tiesteo dove i commensali mangiano i cadaveri dei propri congiunti propinatigli dai compagni di merende. Perchè non si era mai vista, nella storia della nostra magistratura, una simile contrapposizione feroce di potenti decaduti.


Ora il Csm ha lasciato Storari dov’è. Se questo significa riconoscere il coraggio che il giovane sostituto ha dimostrato nel denunciare, sia pure in modo irrituale, le anomalie del suo ufficio, può anche essere una decisione benvenuta, salvo l’esito dell’inchiesta penale bresciana. Ma se al contrario dovesse esprimere il tentativo di chiudere la partita come se niente fosse accaduto, sarebbe un grave errore. Il Csm ne ha già commesso uno di colossale radiando Palamara senza nemmeno averne ascoltato i testi a discarico, facendone l’unico capro espiatorio di un sistema marcito di cui Palamara era solo un tassello, e nemmeno il più importante. Se ora il Csm ripetesse questo errore, significherebbe che non ha capito nulla di quanto sta accadendo nella pancia del Paese, dove la valanga di firme che si stanno raccogliendo per il referendum dimostra la sfiducia e forse l’ostilità dei cittadini verso chi ha ridotto la giustizia a questi livelli di grossolana baratteria. Sarebbe come se soffiasse sul fuoco, sperando di spegnerlo.

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