L’estate di una volta/ Quando il Tevere era il nostro mare. Una cartolina dell'epoca

L’estate di una volta/ Quando il Tevere era il nostro mare

di E​nrico Vanzina
Domenica 9 Agosto 2020, 00:31
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C’era da aspettarselo. Il Ferragosto romano pagherà debito alla pandemia planetaria targata Covid 19.
Le stime di Confesercenti non lasciano spazio ai dubbi: il settanta per cento dei negozianti romani rinuncerà alle ferie e la maggior parte delle attività produttive ridurrà il periodo di chiusura ai quattro giorni apicali a cavallo del quindici agosto. I timori di una ripresa del lockdown a ottobre spaventano. E chi teme per il futuro pianifica al ribasso il presente.
Ma questa malinconica patina di sobrietà forzata ci riporterà indietro nel tempo. Agli anni ‘50, agli anni ‘60. Quando i romani che non avevano i mezzi per godersi delle lunghe vacanze, s’inventavano la loro estate in città. In un film di mio padre Steno, “Un giorno in pretura”, prima icona degli anni ‘50 romani, un giovane Alberto Sordi, con la fissazione dell’America, in una giornata afosa andava a tuffarsi nelle acque periferiche di una marana frequentata da ragazzini. In quell’acqua torbida e stagnante, Sordi fingeva di essere altrove, si sentiva Tarzan e lottava a colpi di pugnale giocattolo con un coccodrillo, in realtà un piccolo tronco ammuffito. Era la forza della fantasia di “Un americano a Roma”, un gioco povero della grande illusione popolare.

Qualche anno dopo, Dino Risi portò alla ribalta i suoi “Poveri ma belli”, i quali s’inventavano un’altra estate, anche quella non al mare ma sul Tevere, in un piccolo stabilimento in legno, un barcone ancorato sotto i bastioni di Castel Sant’Angelo. Che tenerezza, oggi, ripensare a Maurizio Arena, Renato Salvatori, fusti in costume per conquistare Marisa Allasio e Lorella De Luca, sulle sponde del nostro fiume ancora biondo, non fetido come quello di oggi. Ricordo, nei primi anni ‘60, quando insieme al mio amico Andrea, traversammo a nuoto il Tevere da parte a parte sotto ponte Cavour. Allora tutto era veramente più pulito, anche il Tevere. E che tenerezza quel mondo sparito di una Roma più spiritosa, più autentica soprattutto nei suoi sentimenti e nelle sue abitudini. L’estate dei quartieri popolari, con la gente che usciva verso sera fino a tarda notte, per riprendere fiato, affollando con nonni e pupi i baracchini dei cocomeri e della “grattachecca”. Si attendeva l’arrivo puntuale del ponentino e si succhiava con delle lunghe cannucce il ghiaccio colorato dallo sciroppo di menta. Ma anche l’estate dei quartieri alti, con gli appartamenti dei ricchi sprangati e fuori, a montare la guardia, un piccolo esercito di portieri seduti su delle sedie da cucina, a parlarsi a voce alta da palazzo a palazzo.

Chissà, molti romani che resteranno forzatamente in città forse si riapproprieranno di questi riti antichi. Sarà un ritorno alla Roma dei mariti in città, delle avventure di condominio con la bionda del superattico, delle serate sotto le stelle, nelle arene, nei bar all’aperto. Torneranno gli innamorati su Lungotevere, si faranno di nuovo lunghe camminate a piedi nelle piazze storiche e nei vicoli, sciacquandosi la faccia alle fontanelle e schizzandosi con gli amici. Sì, forse riemergerà in città quella struggente ingenuità da racconto di Ercole Patti. I romani che vivono la loro Capitale come un paesello incantato. Magari, prendendo una pausa collettiva, non saremo più costretti a leggere le solite efferate notizie di cronaca. Animali abbandonati, violenze sulle donne, morti stradali, movide violente e risse senza ragione. Questo potrebbe essere un ferragosto romano speciale. Dai, per rimettere in pari i numeri del dolore che abbiamo vissuto, cerchiamo di far rivivere Roma come nelle canzoni di Anna Magnani o di Renato Rascel. Con quattro soldi de’ felicità. 
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