di Mario Ajello
Sabato 31 Ottobre 2020, 00:34
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Si rivedono le scene di marzo. Quelle del centro di Roma deserto. Fontana di Trevi, in queste ore, è sgombra come se dovessero girare le scene felliniane della Dolce vita con Mastroianni e la Ekberg. E tutt’intorno il contesto è questo. Il vuoto. L’ombelico del mondo, perché di questo stiamo parlando, ha perduto la sua forza vitale. E fa impressione vederlo così. Il remake questa volta colpisce perfino di più dell’altra volta.

Perché si ha la sensazione che ci si poteva preparare meglio alla nuova emergenza ampiamente prevista, perché non è vero che sarebbe andato tutto bene (come da slogan della prima ondata), perché se a marzo ci si poteva concedere l’amara sorpresa di vedere il centro di Roma come un romano d’oggi non l’ha mai vista adesso si è più poveri, ancora più spaventati e più che la magnificenza della nuda architettura della capitale del barocco e di molto altro fanno impressione i segni della crisi che sono dappertutto.

Nelle serrande abbassate e che forse non verranno più rialzate, nei cartelli di vendesi attività, nella dismissione o nella disperazione di botteghe che rappresentano la tradizione di questa città e parte dell’ubi consistam della nostra grandezza, nel passeggio che non c’è più, nel crepuscolo che arriva ben prima dell’ora del coprifuoco, nel turismo che è ovviamente sparito lasciando il paesaggio più povero. E se a Roma togli il Grand Tour, le togli anche un pezzo d’anima.

È una città sparita l’Urbe senza il suo centro. Con l’aggravante che in questo strano sabato del villaggio romano, tradizionalmente popolato di tutto, gonfio di vita, animato da caos e grande bellezza, oggi in scena ci sarà soltanto qualche manifestazione che si spera non devastante. E non sia mai che si aggiunga distruzione a distruzione. Sarebbe un dolore supplementare e comunque l’immagine del centro di Roma senza i turisti, senza i ristoranti, senza gli uffici e strapiena solo di monopattini fermi, unicamente abitata dai manifestanti rappresenta di per sé uno straniamento, una stortura, una diminutio, l’ennesima pena che ci è stata inflitta dal Covid. 

Ma anche se fa male aggirarsi nel vuoto di Roma, la città delle città per eccellenza, guai a lagnarsi, a compiangersi, a indulgere nel pessimismo e a crogiolarcisi. Non serve dire, strappandosi i capelli: oddio quanto è triste Roma...

Non giova pensare che le guerre, come questa anti-Covid, si possano solo perdere. E occorre invece mobilitarsi, reagire, pensare e ripensare, lavorare - anche in tempi di emergenza, anzi proprio perché c’è l’emergenza e dalle crisi si può imparare molto per ripartire meglio - per il dopo facendo tesoro dell’adesso. 

Questo è il momento, guardando la crisi sanitaria, economica e sociale in corso, di pensare a come ridare il centro ai romani e ai romani il centro. Partendo dal fatto che - come disse il primo sovrano d’Italia, Vittorio Emanuele II, appena questa città diventò capitale del Regno nel 1871 - “a Roma ci siamo e ci resteremo”. Ma c’è modo e modo di starci. Per viverla al meglio, e adesso in piena pandemia e prima del voto comunale della prossima primavera conviene cominciare a pensarci, non si può che attivare un protagonismo civico, mobilitarsi e chiedersi che tipo di Roma vogliamo e quale Roma serve alla nazione. Senza lagne da Covid come fine del mondo, senza la solita indifferenza che tanto male ha fatto a questa Capitale in questo anni e che ha coinvolto nell’apatia e nella resa un po’ tutti: politica, amministrazione, forze produttive e culturali, cittadini. 

Ecco, la Roma desertificata e deserta deve spingere tutti a un surplus di responsabilità e di impegno. La pandemia impone nuove modalità di comportamento (mascherine, il lavaggio delle mani, il distanziamento) ma anche nuove modalità di ragionamento. Non è il momento di interrogarsi, con creatività e coraggio, sulle visioni del futuro? Non serve, ora più che mai, guardare questa città non con gli occhi bassi verso la desolazione attuale ma con una prospettiva più larga? Occorre attivarsi per il durante - resistere, rispettare le regole, concentrarsi sulla sicurezza come precondizione per tutto - e attrezzarsi per il dopo. Con la consapevolezza che soltanto la qualità dei servizi, della gestione amministrativa e del turismo - il discount non porta vantaggi, il mordi e fuggi non è degno di Roma - significano sviluppo e futuro. Restituire ai romani e ai non romani una città più pulita, più funzionale e ancora più bella è la vera sfida e la sfida si comincia a giocare adesso. Roma è una grande risorsa dell’umanità. E non c’è pandemia che possa cancellare un destino scritto nella storia.

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