Filippine, dopo trent’anni un Marcos verso la presidenza

Filippine, dopo trent’anni un Marcos verso la presidenza

di Pio d'Emilia
Lunedì 21 Marzo 2022, 07:29
4 Minuti di Lettura

Oramai è quasi certo che dal prossimo maggio avremo un altro Marcos alle guida delle Filippine: si tratta di Ferdinando Jr, detto “Bong Bong”, 64 anni, figlio prediletto – l’unico della famiglia presente al suo capezzale, quando si spense nel suo esilio forzato delle Hawaii, il 28 settembre 1989 – di Ferdinando Marcos, il “padre padrone” che per oltre vent’anni, e alterne fortune, guidò, assieme alla bella e intraprendente moglie Imelda, questo lontano e travagliato arcipelago. 


Un Paese che nonostante l’enorme potenziale umano (oltre 100 milioni di abitanti, distribuiti su circa 6 mila isole per una superficie complessiva di 300 mila kmq, più o meno come l’Italia) ed un tasso di crescita tra i più alti della regione (l’anno scorso è stato del 7,7% nonostante la pandemia) continua a denunciare uno dei più alti divari sociali del mondo: il dato che è restato immutato, da quando le Filippine ottennero l’indipendenza nel lontano 1946, è infatti quello della distribuzione del reddito, con una ventina di famiglie che detengono l’80% del Pil. “Bong Bong”, che per andare sul sicuro ha scelto Sara, figlia dell’attuale presidente “pistolero” Rodrigo Duterte, è infatti accreditato, negli ultimi sondaggi, di oltre il 60% dei voti, contro appena il 15% del primo dei suoi concorrenti, Leni Robredo.
Certo, per chi, come chi scrive, ha vissuto dal vivo i giorni drammatici e al tempo stesso entusiasmanti, del cosiddetto “People Power” – quando, nel febbraio 1986, a seguito di un voto contestato e di una insurrezione popolare Marcos venne “convinto” dagli Usa a dimettersi (in realtà ingannandolo: gli avevano detto che l’avrebbero portato in una zona al sicuro nel Paese, mentre invece lo depositarono alle Hawaii) – fa una certa impressione che a poco più di trent’anni di distanza il figlio di un dittatore corrotto e senza scrupoli, mandante riconosciuto di omicidi politici e assetato di soldi e potere (si parla di oltre 20 miliardi di dollari, che il governo filippino ha cercato, negli anni, di recuperare, riuscendoci solo in parte) possa tornare da presidente eletto a Malacanang, il lussuoso palazzo che la sera del 26 febbraio 1986 venne invaso da decine di migliaia di filippini al grido di “Cory, Cory”, il soprannome di Corazon Aquino, vedova del senatore Benigno Aquino, ucciso qualche anno prima sulla scaletta dell’aereo che lo riportava a Manila da un sicario e che poche ore prima era stata proclamata nuova presidente del Paese alla presenza di alcuni esponenti del regime di Marcos passati dalla sua parte (in particolare Juan Ponce “Johnny” Enrile, ministro della Difesa, e Fidel Ramos, capo della polizia) e del cardinale Jaime Sin, arcivescovo di Manila, cui si deve il drammatico – quanto decisivo - appello alla popolazione di scendere in piazza.
Ma per come sono andate le cose da allora, a cominciare proprio dalla scialba, vendicativa e purtroppo altrettanto corrotta presidenza di Cory Aquino e della maggior parte dei suoi successori, l’ipotesi era nell’aria da tempo. Ricordo che nel 2002, quando ebbi occasione di reincontrare e intervistare dopo tanti anni l’ex First Lady Imelda (84 anni, ma ancora in grande forma), neoeletta senatrice e poi addirittura governatrice della provincia di Ilocos del Norte, il “feudo” della famiglia Marcos, mi fecero impressione la sua sicurezza e determinazione. 
«Ci vorrà ancora qualche anno, ma vedrai che il popolo filippino, che già si è reso conto della grande ingiustizia commessa nei confronti del presidente più popolare della loro storia, riporteranno al potere democraticamente la mia famiglia, deposta da una rivoluzione ordinata dagli Stati Uniti». Aveva ragione. Prima lei, poi la figlia Imee e infine Bong Bong, attuale candidato alla presidenza, negli ultimi anni sono stati tutti rieletti, con maggioranze schiaccianti, sia in Parlamento che al governo di Ilocos, confermando la grande popolarità della famiglia Marcos. 
E’ dunque più che probabile che il 9 maggio, data delle prossime elezioni presidenziali, il figlio del dittatore Marcos – cui peraltro va riconosciuto il fatto di non aver dato l’ordine di sparare sulla folla, come gli aveva consigliato a più riprese il generale Fabian Ver, all’epoca Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate – uscirà vittorioso dalle urne, assieme a Sara Duterte, figlia dell’attuale presidente, ma dal quale si è da tempo dissociata, attuale sindaco di Davao, una delle città più importanti dell’isola di Mindanao, a maggioranza musulmana.

Insomma, a volte ritornano, ma non è detto che sia sempre un male.

© RIPRODUZIONE RISERVATA