Il caso Generali/ La spinta che chiedono i risparmiatori italiani

Il caso Generali/ La spinta che chiedono i risparmiatori italiani

di Osvaldo De Paolini
Domenica 1 Maggio 2022, 00:13 - Ultimo agg. 2 Maggio, 16:29
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Spente le luci sulla conta dei voti, è il momento di un bilancio meditato sull’esito dell’assemblea dei soci che ha nominato il nuovo consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali. 

E la prima osservazione è che nella sua storia l’organo di governo della compagnia, da sempre espressione di consensi assai ampli, mai si era insediato in nome di una maggioranza tanto risicata, appena il 55% dei partecipanti all’assemblea, per di più a fronte di un voto di sfiducia che sfiora il 45%. 
Un esordio non proprio sotto i migliori auspici, considerato che non appena cadranno i voti legati al più volte citato prestito-titoli di Mediobanca, il sostegno al cda guidato dall’amministratore delegato Philippe Donnet si ridurrà a poco più del 50%.

E c’è un altro tema che deve fare riflettere: la provenienza dei voti e la loro distribuzione tra una lista e l’altra. 
Già ieri, dall’analisi del voto, è emersa una divisione netta, che vede da una parte il blocco compatto dei fondi internazionali schierati con Mediobanca (per una quota di capitale pari al 39%) e dall’altra una forte concentrazione dell’azionariato storico della compagnia (per una quota di capitale pari al 30%) che, votando la lista Caltagirone, ha dimostrato di condividere la scelta di discontinuità contenuta nel progetto strategico “Awakening the Lion”. Sicché, mentre da una parte abbiamo assistito a un compattamento del fronte finanziario, dall’altra si è avuta una straordinaria mobilitazione di risparmiatori che investono in proprio, famiglie industriali, fondazioni bancarie, casse previdenziali, grandi e piccoli “cassettisti”: insomma, categorie di azionisti che hanno scelto di puntare su Generali con un’ottica di lungo periodo, ben conoscendo le potenzialità del gruppo. E la caratteristica comune è che questi soci sono tutti italiani.

Non che gli investitori esteri non siano apprezzati, anzi. Ci sono fondi istituzionali come il Capital Group - nel cui portafoglio spiccano quote rilevanti di Allianz, Axa e Zurich - che sarebbero i benvenuti qualora decidessero di acquistare qualche azione Generali; mentre bisognerebbe interrogarsi sul perché i fondi italiani sono praticamente scomparsi dal capitale della compagnia. Il punto è che delle oltre 150 istituzioni estere che hanno espresso il voto a favore della “lista del cda”, la gran parte ha depositato partecipazioni infinitesimali, entrate nei loro portafogli non in virtù di una valutazione ponderata della compagnia, delle sue opportunità di crescita, ma quale quota “obbligata” dal momento che il loro statuto prevede un investimento sull’Italia (come su altri Paesi).

Quindi, ciò che hanno acquistato è in pratica l’indice di Borsa in proporzione al peso che i titoli principali hanno sulla capitalizzazione complessiva.

Sia chiaro, questi fondi fanno il loro mestiere, e sono di grande utilità quando si tratta di smussare gli eccessi di volatilità sui mercati; ma per loro natura si muovono in ottica speculativa, perciò mirano al guadagno in tempi relativamente brevi agendo soprattutto in funzione dei mutevoli fondamentali di un Paese e dei suoi tassi, e non perché hanno studiato i bilanci della principale compagnia di assicurazione. Per di più quando si tratta di votare nelle assemblee societarie per solito accolgono senza riserve le indicazioni dei proxy advisor, istituzioni sedicenti indipendenti, spesso con visioni conservatrici, sulle quali molti di essi preferiscono scaricare la responsabilità delle loro scelte.

Dunque, chiunque comprende quanto fragile sia il supporto che essi possono dare a grandi realtà come le Generali, che per il loro ruolo nel sistema necessitano di un azionariato stabile e pronto a condividere le scelte di crescita del cda anche nel lungo periodo. Eppure è su quelle istituzioni, per definizione “instabili” - che però hanno inciso per quasi metà del voto andato alla lista del cda - che il nuovo vertice della compagnia triestina potrà contare a partire da domani. Insieme a Mediobanca, naturalmente. Che tuttavia a fine giugno disporrà solo della sua partecipazione storica del 12,8%, essendo per quella data scaduto il prestito-titoli del 4,4% proveniente dall’estero - sulla cui legittimità da dicembre il mercato attende di conoscere l’opinione della Consob - ed essendo volatilizzato per consunzione l’1,4% del gruppo De Agostini.

Inconcepibile che il consiglio guidato da Donnet d’ora in avanti non tenga in debito conto la forza che è capace di esprimere quel 30% del capitale - questo sì stabile - che ha dimostrato con il suo voto di fare propria la proposta Caltagirone, avendola giudicata migliore del piano “Lifetime Partner24” presentato da Donnet. 
È perciò bene ribadire che oltre agli interessi di 190 mila azionisti (il 65% dei quali basati in Italia), al destino di quasi 75 mila dipendenti e alla tutela di 63 miliardi di euro di debito pubblico italiano custoditi nel suo portafoglio, in gioco c’è l’imprescindibile necessità di riportare Generali sul podio europeo, pena la sua progressiva irrilevanza nel panorama mondiale.

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