Se anche in Giappone si nasce sempre di meno

Se anche in Giappone si nasce sempre di meno

di Pio d'Emilia
Lunedì 16 Gennaio 2023, 00:27 - Ultimo agg. 23 Gennaio, 23:31
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Per il decimo anno consecutivo il Giappone denuncia un “saldo” demografico negativo. In parole semplici, ci sono più morti che nascite. E questo nonostante l’aspettativa di vita sia (assieme all’Italia) tra le più altre del mondo e che negli ultimi anni siano aumentati in modo vertiginoso gli ultracentenari: oggi sono oltre 90 mila, pensate, 50 anni fa erano appena 150. 


Ma il dato più preoccupante è quello del calo delle nascite. Nel 2022 sono nati meno di 800 mila bambini, il numero più basso da quando il governo compila le statistiche: il 1899. Di questo passo, il Giappone potrebbe vedere la sua attuale popolazione di circa 120 milioni di abitanti ridursi a 100 milioni entro il 2030 e scendere sotto i 90 entro il 2040. 


Il Giappone non è l’unico grande paese a denunciare questo trend: in Occidente riguarda vari paesi, primi fra tutti l’Italia, che con il Giappone condivide il tasso più basso di natalità del mondo industrializzato. Ma anche la Cina, che nei prossimi anni verrà superata come popolazione totale dall’India, è stata di recente costretta ad approvare alcune misure “rivoluzionarie” per arginare un fenomeno che fino a qualche anno fa (ricordate la politica, spesso crudele, del “figlio unico”?) sembrava impensabile.

E ora, come tanti altri paesi occidentali, prevede tutta una serie di incentivi e sussidi per le coppie che fanno uno o più figli.


Anche il governo giapponese, che nelle prossime settimane si appresta a discutere il nuovo budget (che comprende anche il raddoppio delle spese militari, obiettivo sul quale la maggioranza è tutt’altro che coesa e che potrebbe portare anche alla caduta dell’attuale premier Fumio Kishida) ha in mente tutta una serie di iniziative: si va da una serie di contributi fissi, senza distinzione di reddito, per ciascun figlio minore, agli sgravi fiscali ma soprattutto il rimborso di tutte le spese relative al parto e ai primi due anni di vita. In Giappone, vale la pena ricordarlo, partorire non è considerata una “malattia” e tanto meno un’emergenza sanitaria. Anche se negli ultimi anni molti Comuni – tra i quali Tokyo – hanno deciso di rimborsare buona parte delle spese sostenute dalle puerpere – tradizionalmente i costi del parto, che possono essere anche ingenti, non sono coperti automaticamente dal servizio sanitario nazionale. Tutto questo dovrebbe cambiare dal prossimo anno fiscale (che in Giappone scatta in aprile) dando maggiore “respiro”, quanto meno finanziario, alle coppie che vogliono far figli.


Ma fare figli non è solo una questione di capacità finanziaria – ha scritto di recente in un suo editoriale l’autorevole Asahi Shinbun – è anche una questione psicologica, sociale. I figli si fanno quando si è felici, ottimisti, positivi nei confronti del futuro. «Bisogna ammettere che l’attuale società giapponese non è esattamente in questa situazione: la gente è preoccupata, triste, rassegnata ad un futuro se non peggiore sicuramente incerto». Per non parlare delle donne, “elemento” essenziale e decisivo per risolvere il problema. Ma anche qui, il trend è piuttosto negativo. Oltre il 30% delle giovani donne giapponesi, secondo un recente sondaggio, non solo non ha nessuna intenzione di sposarsi, ma anche se decidesse di farlo non vuole fare figli. Motivo: la società giapponese non offre pari opportunità, condivisione delle responsabilità e strutture logistiche che consentano alle madri – ancor più se single – di coniugare maternità e vita sociale/professionale. E così sono sempre di più le donne giapponesi – come in tutto il resto del mondo – che non sono disposte a “sacrificarsi”. Una soluzione più radicale – ma che non sembra per ora aver incontrato particolare entusiasmo – è quella che alcuni media locali hanno chiamato “fuga da Tokyo”. Dopo una iniziativa simile – ma molto meno generosa – adottata alcuni anni fa, il governo di Tokyo ha annunciato un ambizioso piano di “de-urbanizzazione” della capitale.

Un “pacchetto” che può arrivare all’equivalente di 50 mila euro per tutte le famiglie con uno o più figli che accettino di lasciare Tokyo e trasferirsi in provincia. Ci sono delle condizioni: avere già un lavoro nella nuova residenza (o impegnarsi ad aprirvi un’attività commerciale) e restarci per almeno 5 anni. Le condizioni sono più che accettabili, ma è lo scopo che potrebbe essere irrangiungibile: quello di fare più figli. Siamo sempre lì: per fare figli, le coppie debbo sentirsi sicure che potranno mantenerli e che saranno in grado di garantire loro una esistenza felice. Ora, se c’è una metropoli, dove tutto funziona, comprese scuole e asili nido questa è proprio Tokyo. Che non è più la città più popolosa del mondo – è stata da tempo superata da Chong Qing, al centro della Cina – ma è sicuramente la più sicura, la più “vivibile” delle grandi capitali. Viverci per i giapponesi è sempre stato percepito come un privilegio, sarà dura convincerli che è meglio tornare a vivere in “provincia”, dove in certi settori – trasporti e digitalizzazione – il Giappone è ancora molto arretrato

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