di ​Luca Ricolfi
Venerdì 14 Agosto 2020, 00:17 - Ultimo agg. 10:29
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«Mi preoccupa il senso di onnipotenza dei giovani». Così, in un’intervista, ha dichiarato Agostino Miozzo, medico e coordinatore del Comitato tecnico Scientifico. Non discuto certo la fondatezza delle sue preoccupazioni, semmai trovo un po’ tardiva questa uscita (come Fondazione Hume abbiamo segnalato la svolta dei dati del contagio fin dal 18 giugno, quasi 2 mesi fa). Quel che mi stupisce, invece, è questa improvvisa concentrazione delle critiche sui giovani, come se il probabile arrivo di una seconda ondata potesse essere attributo alla irresponsabilità dei giovani stessi.

Questo è estremamente ipocrita. I giovani sarebbero plausibilmente criticabili se le autorità avessero enunciato regole chiare e coerenti, non le avessero cambiate continuamente, e soprattutto non avessero quasi del tutto rinunciato a farle rispettare nei luoghi che contano. Come è possibile che nei teatri, nei musei, nei treni ad alta velocità si debba rispettare il distanziamento, e sui treni normali e nelle discoteche ci si possa assembrare senza che nessuno intervenga? Come è possibile che appiccicarsi uno all’altro sugli aerei non desti alcuna preoccupazione nelle autorità, mentre appiccicarsi in discoteca sì? Che senso ha vietare gli assembramenti, se poi li si tollera ovunque, per strada come in spiaggia?

In realtà una spiegazione esiste. Le autorità avevano paura di fermare l’economia, e quindi hanno permesso che ci contagiassimo a vicenda. Sapevano che così l’epidemia avrebbe rialzato la testa, ma hanno preferito chiudere un occhio, per non rovinarci le vacanze (e non perdere consenso). Ora che il carnevale sta finendo, minacciano di proclamare la Quaresima (nuovi lockdown), e hanno pure il becco di dare la colpa a noi, che non avremmo mostrato sufficiente senso di responsabilità. Poi, quando la seconda ondata si farà minacciosa, ci diranno che loro l’avevano detto, che noi non siamo stati abbastanza attenti, e ora ci becchiamo quel che con i nostri comportamenti avventati ci siamo meritati.

Ma è troppo comodo fingere di non sapere come funziona la catena comunicativa. Se le autorità enunciano regole incoerenti, il pubblico si attiene alla regola meno severa (il non-distanziamento sui mezzi pubblici). Se poi enunciano regole anti-assembramento, ma non muovono un dito quando le regole vengono patentemente infrante, il pubblico capisce che la regola è finta, e quindi non in vigore. Qualcuno può stupirsi che i giovani, che già di per sé hanno una propensione al rischio (e al divertimento) più alta degli adulti, se ne infischino di regole che gli adulti non fanno lo sforzo di far rispettare?

C’è qualcosa che non torna, come ha fatto notare pochi giorni fa in tv la giornalista Marianna Aprile con un ragionamento folgorante (cito a memoria): perché ci scandalizziamo per gli assembramenti in discoteca e per quelli sui mezzi pubblici no? Qual è la ratio? Forse è perché in discoteca ci si diverte, e ad andare al lavoro no?

La realtà, temo, è che il governo ha fatto, sulla nostra pelle, una scommessa rischiosa: lasciare che la macchina dell’economia e quella delle vacanze ripartissero senza eccessivi ostacoli, sperando che alla fine, quando a settembre torneremo a scuola e al lavoro, il disastro sanitario sia ancora contenibile.

È ben fondata questa speranza?
Sinceramente non lo so. Ci sono dati che inducono a un certo ottimismo, e altri che decisamente preoccupano. Il dato più confortante è che il numero di soggetti positivi (e quindi potenzialmente contagiosi) per milione di abitanti è molto basso, anche se non così basso come ci è stato raccontato nei giorni scorsi con le cartine che mostrano un’Italia isola felice, accerchiata da Paesi che hanno più casi di noi. Se anziché fidarsi del numero di casi diagnosticati (che dipende pesantemente dal numero di tamponi), si fa una stima del numero effettivo di casi contagiosi di ogni Paese, si vede immediatamente che la situazione non è esattamente di accerchiamento (vedi mappa in basso): stanno peggio di noi il Regno Unito, i Paesi a ovest (Francia e Spagna) e i Paesi balcanici, ma stanno meglio di noi quasi tutti i Paesi a Nord dell’Italia: Germania, Austria, Svizzera, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Olanda, Repubbliche baltiche, Norvegia, Finlandia, Islanda.

Impossibile dare una stima accurata del numero di persone contagiose in Italia, ma quel che si può dire è che nel momento peggiore dell’epidemia (fine marzo) il numero di persone contagiose era almeno 100 volte superiore a quello di oggi. Questo dato, in sé positivo, ha però anche una faccia negativa: il fatto che, in questo momento, la base dei contagiosi sia dell’ordine di poche decine di migliaia di persone, rende temporaneamente non percepibili le conseguenze catastrofiche del mancato rispetto delle regole. Se la “base” fosse 100, o anche solo 10 volte superiore, le corsie degli ospedali sarebbero già sotto stress.

A proposito di ospedali, l’andamento dei ricoveri ci fornisce il dato più preoccupante. Nelle ultime due settimane si è completamente interrotto il trend di diminuzione dei ricoveri per Covid, che hanno ripreso a salire sia nella componente ordinaria (+10% dal 1° agosto) sia in quella delle terapie intensive (+30% nell’ultima settimana).

E non è tutto. Preoccupante è anche l’andamento dei tamponi, che ormai da più di un mese fluttuano intorno ai minimi. Come preoccupante è l’andamento del rapporto fra nuovi casi diagnosticati e numero di persone testate, più che raddoppiato dai primi di luglio a oggi.
Ma il dato forse più meritevole di attenzione è l’andamento del numero totale di soggetti positivi. Questo dato aveva toccato il massimo alla fine di aprile, ma da allora era sempre sceso, fino a un paio di settimane fa, quando ha ricominciato a salire. Ora, nonostante le guarigioni e i decessi, il numero totale di diagnosticati positivi è in aumento, e sfiora le 14 mila unità. Se si considera che, in Italia, il moltiplicatore che fa passare dai casi ufficiali a quelli effettivi è vicino a 6, è immediato concludere che il numero di persone positive (fortunatamente non tutte contagiose) è probabilmente non lontano da 100 mila. 

Ecco perché l’allarme del Comitato tecnico-scientifico è pienamente giustificato. Resta solo la domanda: perché avete aspettato tanto a prendere atto di una realtà che era già chiara un mese fa?
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