di Mario Ajello
Sabato 30 Maggio 2020, 00:32
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C'è un futuro da modellare, c'è una società da ripensare, e la discontinuità che il virus ha imposto all'Italia - a.C. e d.C. possono anche valere come ante Covid e dopo Covid - non può che partire da un dato di fatto: che il nostro Paese è uscito, o sta cercando di farlo, in maniera onorevole dalla grande emergenza. Adesso non va disperso anzitutto il sentimento di comunità nazionale, quel vincolo patriottico che in questi mesi si è addensato e senza il quale il passaggio in corso - ovvero le riaperture della mobilità tra le regioni e l'inizio di una normalità tutta ancora da ideare - rischia di portare a disunione istituzionale e a sfaldamenti territoriali che neanche minimamente possiamo consentirci. 
Ecco, in queste ore delicate in cui si decide il riaprire le regioni tutte insieme oppure no, e se farlo subito o prendendo altro tempo date le diverse condizioni territoriali, solo la centralità dello Stato può agire da regolatore.
E stabilire, senza cedere a condizionamenti e a utilità di breve momento, se è opportuno sacrificare l'interesse di tutti per una regione, la Lombardia, che è rimasta drammaticamente indietro a causa dei suoi errori iniziali. E come vada affrontato lo squilibrio per cui chi è in ritardo rischia di pregiudicare l'avvio per tutti gli altri verso la normalità. 
Ma se questo passaggio verrà gestito con estrema attenzione all'interesse generale, avremo la riprova di aver assunto un'idea d'Italia che poi è quella rintracciabile in tanti tratti della nostra storia. Mai come adesso che serve il coraggio per ridefinire tutto - «Sono la fantasia e l'immaginazione, e non i piccoli fatti e i piccoli calcoli, a decidere l'avvenire», diceva Charles Dickens - è utile guardare a momenti di splendore e a modelli d'Italia che ci hanno fatto grandi. E ci aiuta in questo la mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale, che appena inaugurata chiuse per il lockdown e adesso riaprirà il 2 giugno il giorno della festa della Repubblica e quasi a simboleggiare un nuovo inizio nel segno del Rinascimento. Non era scontato ottenere il prolungamento di tre mesi per prestiti importantissimi da parte di musei internazionali. Se ci si è riusciti, è perché l'Italia s'è guadagnata agli occhi del mondo credibilità in questa fase di dolore e lotta e perché il genio italiano di cui Raffaello è stato emblema viene riconosciuto per quello che è. Uno dei fattori universali di civilizzazione. 
Un modello a cui la nuova Italia può ispirarsi lo abbiamo dunque a portata di mano. Ed è quello formato nel Rinascimento da un impasto di bello e di razionale (e il razionale e il bello coincidono), da un made in Italy di ineguagliabile livello capace di diventare stile, marchio, attrattiva del Belpaese nel mondo. La forza dell'Italia, se sa essere Italia, è un giacimento profondo che in una fase in cui tutto si scompone e va riordinato ci offre un vantaggio non da poco. E la mostra su Raffaello, non soltanto pittore ma architetto, urbanista, cultore raffinato di antiche vestigia, può servire come un aiuto al presente, come una spinta all'ambizione e alla costruzione e ricostruzione e faceva bene Picasso a dire di lui: «Sì, Leonardo c'ha promesso il cielo, ma Raffaello ce lo ha dato». Anche grazie a una classe dirigente di potenti e di committenti che ruotavano intorno alla corte di Leone X, i cui consiglieri politici e culturali, erano gente come Baldassarre Castiglione, Pietro Bembo e Jacopo Sadoleto figura cruciale in contatto con Machiavelli e Ariosto, gran studioso di Cicerone, autore di opere in odore di eresia che furono condannate durante la Controriforma. Non che si voglia paragonare quel livello di élites con quelle attuali, perché sarebbe troppo frustrante. Ma la rinascita dell'Italia non potrà prescindere da una necessità assoluta - guai ad assecondare la tendenza dei presidenti regionali a sentirsi piccoli principi di pseudo-staterelli - e da due condizioni.
La prima è di avere una ceto di governo all'altezza della difficoltà della sfida. La seconda, e riecco Raffaello e la sua Roma che lo fece davvero grande dopo i tempi di Urbino, di Perugia e di Firenze, è che la Capitale d'Italia diventi motore trainante come lo fu nel Rinascimento. Quando, solo per fare un esempio, l'idea di tutela dei beni culturali non certo in chiave ideologico-conservatrice ma di sviluppo nella conoscenza e nella manutenzione del bello, proprio da Raffaello fu lanciata. Nella famosa - e in mostra c'è anche quella - lettera scritta da Raffaello insieme a Baldassarre Castiglione e indirizzata a Leone X nel 1519, in cui i due raccomandano al pontefice di aver cura «che quel poco che resta di questa antica Roma, madre della gloria e della grandezza italiana, non sia estirpato e guasto dalli maligni e dagli ignoranti». 
Un monito che oggi suona modernissimo per ricominciare. E sta nel nesso tra Roma e la grandezza d'Italia l'idea giusta di futuro. Ricordiamocelo nel momento della ripartenza.
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