Sud penalizzato/ Perché i fondi non bastano per ripartire tutti insieme

Sud penalizzato/ Perché i fondi non bastano per ripartire tutti insieme

di ​Luca Bianchi
Sabato 12 Settembre 2020, 00:14 - Ultimo agg. 09:55
4 Minuti di Lettura
Il Covid 19 non è stato una livella. Non è vero che ci ha reso tutti più uguali, un po’ più poveri ma più uguali. Proprio i dati del mercato del lavoro usciti ieri ci dimostrano che purtroppo è vero l’esatto contrario. La pandemia e la conseguente crisi economica causata dal lockdown è stato un acceleratore di quei processi di ingiustizia sociale in atto ormai da molti anni che ampliano le distanze tra cittadini e territori. 

La crisi si è infatti scaricata quasi interamente sulle fasce più fragili del mercato del lavoro italiano. Cassa integrazione e blocco dei licenziamenti hanno costituito un argine allo tsunami della crisi per quanti avevano un contratto a tempo indeterminato, ma hanno inevitabilmente incanalato l’onda nociva dei licenziamenti verso le componenti più precarie e verso i territori più deboli. 

Gli 840 mila posti di lavoro persi tra aprile 2020 e lo stesso mese dell’anno precedente sono composti infatti per due terzi da contratti a termine (non rinnovati al momento della scadenza) e per la restante parte da lavoratori autonomi. Questo effetto “selettivo” della crisi ha determinato un ulteriore ampliamento dei divari interni al mercato del lavoro concentrando le perdite di occupazione tra i giovani, le donne e nel Mezzogiorno. Altro che livella, al contrario proprio chi ha sofferto di più il processo in atto da oltre un decennio nel nostro Paese di indebolimento dei livelli di giustizia sociale e di riduzione dell’equità nella distribuzione dei redditi rischia di subire in maniera più forte anche gli effetti di questa crisi. 
L’occupazione giovanile si riduce negli ultimi mesi dell’8%, più del doppio del calo totale dell’occupazione. E questo per effetto di una doppia penalizzazione: da un lato hanno sofferto il mancato rinnovo dei contratti nel periodo del lockdown, dall’altro si sono chiuse le porte per coloro che nel 2020 sarebbero dovuti entrare nel mercato del lavoro. Proprio quest’ultimo aspetto non è stato adeguatamente considerato neanche dalle ingenti politiche difensive messe in atto dal Governo. Ci sono circa 800 mila giovani disoccupati in cerca di prima occupazione, di cui circa mezzo milione nel Sud, che troveranno per molti mesi le porte chiuse del mercato del lavoro. 

E insieme ai giovani a pagare sonosoprattutto le donne. L’occupazione femminile, già ai minimi europei, si è ridotta nell’ultimo anno di quasi mezzo milione di unità, confermando quei fenomeni di discriminazione e segregazione professionale che purtroppo ancora caratterizzano negativamente il nostro Paese. E infine il Mezzogiorno. Si conferma quanto la Svimez aveva previsto: se la crisi sanitaria ha riguardato prevalentemente il Nord, la crisi economica accomuna tutto il Paese mentre la crisi sociale rischia di concentrarsi soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. La riduzione dell’occupazione al Sud supera il 5% negli ultimi dodici mesi, aggravando un quadro già drammatico. Nel 2020 nelle regioni meridionali ci sono circa 600 mila occupati in meno del 2008. 

Questi dati sono un monito per quanti pensano che basta mettere un po’ di benzina (le risorse europee del Recovery Fund) nel motore del Paese per ripartire, senza risolvere quei nodi strutturali emersi con drammaticità nella crisi. Un piano per la rinascita del Paese non può eludere il tema imponente di ridurre drasticamente le disuguaglianze economiche e sociali che – come dimostra l’esperienza dell’ultimo decennio di crescita dimezzata rispetto alla media europea - minano alla base le potenzialità del Sistema. Ciò richiede, insieme alle ingenti risorse ora finalmente disponibili, una svolta radicale nelle politiche. La sfida cruciale è quella dunque di creare un sufficiente numero di “buoni posti di lavoro”, dice l’economista Dani Rodrik, che poi aggiunge: «La scarsità di buoni posti di lavoro lede anche la fiducia nei confronti delle élite politiche, alimentando così il contraccolpo autoritario e nazionalista che oggi colpisce molti Paesi». Una riflessione che dovrebbe guidare le scelte sulle priorità di investimento e sulla definizione di quelle riforme che, per una volta, non dovrebbero essere lo strumento per ridurre costi e diritti ma per favorire l’inclusione e la partecipazione attiva dei territori ai processi di sviluppo. E’ in gioco la ripresa dell’occupazione, ma in alcune aree più deboli del Sud, dove si sono ridotti negli ultimi anni gli stessi diritti di cittadinanza, con l’indebolimento dei servizi pubblici, dalla scuola alla sanità, potrebbe essere a rischio la stessa tenuta sociale dell’area. 
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA