Fino a un certo momento della serata finale, sul palco del Festival di Sanremo era stata Barbara Palombelli in veste di “valletta” (calpestare quel palcoscenico era un suo sogno lecito covato per anni) a riassumere in maniera semplice e perfetta il senso dell’edizione 2021. Aveva detto con visibile emozione: in questo momento tragico e doloroso, il Festival ci ha regalato tanti momenti di leggerezza che fanno bene a tutti. Giustissimo. Perché al netto dei difetti e degli omissis (intesi come super artisti stranieri e personaggi di peso dello spettacolo), il terzetto Amadeus/Fiorello/Rai avevano centrato un bersaglio vincente: avevano fatto gentilmente compagnia a milioni di italiani reclusi in casa.
Poi, a notte inoltrata, il terremoto. Il blitz dalle piattaforme Ferragni & Co. Al grido di uno non vale uno, i social si sono impossessati della gara. Subito, un mio amico napoletano spiritoso mi ha mandato un messaggio sul cellulare: «Il Festival in mano a ‘e ccriature…».
Già, mai una edizione festivaliera si era consegnata così tanto alla componente “giovane” della musica italiana. Risultato? Bè, qualche stonatura giovane è emersa. Non solo in termini di classifica, di talento vocale e di intonazione, ma soprattutto in termini narrativi. Dove per narrativi si intendono: testi e parole.
Partiamo dai testi. Molti di noi, per pure ragioni anagrafiche e non ideologiche, ricordano a memoria i testi di almeno venti canzoni che hanno fatto la storia di Sanremo. Le ricordano per una ragione semplicissima: fino a qualche anno fa le canzoni raccontavano una storia. E quella storia, impreziosita da accordi e armonie, ci entrava dritta nella memoria.
Le storie delle canzoni di Sanremo sono una collana vintage dei nostri amori, delle nostre debolezze, dei nostri incontri, dei nostri difetti, dei nostri tempi e più in generale delle nostre vite. Una volta depositate nel cervello diventavano pietre preziose, infrangibili.
Lancio un sondaggio: chi è in grado di raccontare le storie delle canzoni che ci hanno tenuto compagnia in questi ultimi giorni? Penso sia difficilissimo.
La centralità delle parole delle canzoni di Sanremo ci porta a valutare un altro aspetto non marginale; la dizione. Come vengono pronunciate, anzi cantate, le parole di queste canzoni? Qui si apre una voragine, maturata negli ultimi anni con “l’amaro stil novo” della musica giovanile che ha trionfato al Festival Social. I cantanti giovani di oggi spezzano le parole, le sezionano, le mettono in fila in maniera quasi dodecafonica. Se a questo aggiungiamo che le loro parole sono deformate ogni due per tre da un effetto armonizzatore, il risultato finale è qualcosa di abbastanza comico.
Giovanotti e giovanotte che parlano d’amore a singhiozzi. Nei film si parla così? Il pubblico in sala schioderebbe le sedie. Nei romanzi i personaggi dialogano così? Chiuderebbero le librerie. Al tempo dei social, però, nelle canzoni è permesso. E soprattutto è votato con i clic.
Ma buttiamola a ridere. Sanremo è così. Uno critica, si arrabbia, vitupera, poi la mattina dopo canticchia a squarciagola quelle melodie, quei testi, quelle parole (io Malika Ayane, mio idolo). Perché Sanremo è Sanremo. Anche se i cantanti di oggi spezzano e dicono “San-re-mo”.