di Nicola Latorre
Giovedì 4 Giugno 2020, 00:09
4 Minuti di Lettura
Sono trascorsi 31 anni dalla ntte tra il 3 e 4 giugno 1989, quando nella piazza di Tienanmen si consumò una tragedia le cui reali proporzioni sono a tutt’oggi ignote. Il regime dichiarò qualche centinaio di morti, in realtà furono migliaia gli studenti, gli operai e gli intellettuali uccisi. Iniziò tutto il 15 aprile di quell’anno quando circa 100.000 studenti scesero in piazza per commemorare Hu Yaobang, l’ex segretario del Partito comunista cinese impegnato su una linea di apertura a istanze democratiche e riformatrici. Nei giorni seguenti a quel movimento si aggiunsero via via operai, intellettuali e studenti provenienti da ogni parte della Cina. Erano più di un milione in piazza quando il leader cinese Deng Xiaoping ordinò ai militari di intervenire anche con i carri armati per soffocare quel dissenso. Il bilancio fu tragico e la foto simbolo di quel giorno, ancor oggi scolpita nella memoria, resta quella dello studente che a mani alzate ostacola la marcia dei carri armati arrampicandosi sulla torretta di uno dei cingolati. 

Il ricordo di quella strage è purtroppo ogni anno più marginale, accompagnato dallo stesso copione. Chi chiede alla Cina di dire la verità e Pechino che replica ritenendo questa richiesta una indebita ingerenza negli affari interni del Paese. Questo trentunesimo anniversario imporrebbe però di andare oltre un inutile rito e può aiutarci a meglio decifrare quello che accade a Hong Kong. C’è infatti un nesso tra quel che successe allora e la gravità della recente decisione cinese di riportare totalmente sotto il proprio controllo Hong Kong cancellando l’autonomia democratica prevista fino al 2035 dall’accordo sino-britannico dell’84 secondo il principio “ Un Paese, due sistemi”. Come ha scritto qualche giorno fa su questo giornale in una puntuale analisi Vittorio Parsi l’approvazione della legge che in nome della sicurezza nazionale vieta ogni forma di dissenso e cancella lo stato di diritto è “un assalto alle libertà politiche e civili dell’isola”. E legittima la dura repressione in atto contro il movimento che ha tentato pacificamente di fermare una così violenta iniziativa antidemocratica.

Certo è improbabile che lì oggi si possa ripetere una seconda Tienanmen ma lo spirito che ha mosso l’iniziativa cinese è simile a quello che allora spinse a soffocare il dissenso. E oggi c’è un motivo di preoccupazione in più poiché la Cina ha un ruolo diverso e ben più rilevante di allora in uno scenario geopolitico mondiale notevolmente cambiato. Ragion per cui la Comunità internazionale non può tacere, e in primo logo non può farlo l’Europa. Ci sarebbe ancora un margine prima che il Comitato a cui è demandato il compito di definire le modalità specifiche della legge la licenzi definitivamente. Omologare Hong Kong alla Cina può servire a Xi Jinping per alimentare il suo neonazionalismo e in Occidente a chi vuole radicalizzare lo scontro con la Cina.

L’Europa ha tutto l’interesse a evitare una simile deriva e deve farlo in nome dei valori che ci ancorano all’occidente. L’idea che si favorisca il dialogo con quel Paese solo se si tace non solo è strategicamente inaccettabile ma tatticamente sciocco. E‘ stata quindi importante la dichiarazione con cui Borrel ha protestato a nome della Commissione Europea. Ma i governi europei si muovono in ordine sparso e con contraddizioni e incertezze che riguardano anche il nostro Paese nell’illusione di trarre qualche vantaggio da queste ambiguità. Dal canto suo la Cina cerca in ogni modo di occultare la vicenda di Hong Kong così come del resto cerca di cancellare il ricordo di Tienanmen.

Da ultimo, in queste ore, richiamando le violenze in atto negli Usa e teorizzando che “nessuno può scagliare la prima pietra” . Anche da noi qualche analista ha cercato di equiparare le due crisi, riconoscendo che si tratta di realtà molto diverse ma che in fondo il malessere e i conflitti finiscono per assomigliarsi in ragione delle conseguenze economiche e sociali provocate dalla pandemia. In realtà proprio la natura delle due crisi le rendono del tutto incomparabili. Quello che sta accadendo negli USA dopo il gravissimo atto che ha suscitato la giusta protesta non solo della comunità afroamericana sta avendo sviluppi di una intollerabile violenza chiaramente alimentata da estremisti di ogni parte che trovano terreno fertile in una società come quella americana oggi così duramente colpita dalla crisi anche per il clamoroso fallimento della gestione Trump. E con Trump che nella prospettiva delle prossime elezioni presidenziali cerca di recuperare vestendo i panni dello sceriffo nazionale tutto “Law and Order” nel solco della tradizione di una destra non solo americana. Ma questo nulla ha a che vedere con quello che è in discussione a Hong Kong dove c’entrano ben poco gli aspetti economico-sociali e men che meno le conseguenze della pandemia.

Se non nell’utilizzo che ne ha fatto il regime per portare a termine il disegno di reprimere ogni pacifico dissenso, per poter giudicare in Cina i dissidenti di Hong Kong, per cancellare l’esperienza democratica dell’isola, in violazione di un accordo internazionale e tra l’altro preannunciando una iniziativa analoga nei confronti di Taiwan. Il ricordo di Tienanmen può aiutare anche qui a casa nostra a non confondere le cose e a mantenere lucidità nell’analisi dei fatti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA