di Paolo Balduzzi
Venerdì 7 Maggio 2021, 00:10
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Non è un esercizio semplice, né tanto meno simpatico, mettersi a stilare la classifica dei settori più colpiti dal covid: chiunque abbia perso il lavoro o chiuso un’attività deve essere sostenuto e aiutato a ricominciare. Tuttavia, niente sa colpire l’immaginario collettivo come i danni subiti dal turismo. E non si tratta certo solo di “immaginario”. Dopo il boom del 2019, il 2020 ha fatto registrare il minimo storico  tra i viaggi dei residenti: -45% i viaggi per le vacanze, quasi -70% quelli per lavoro. Un calo che si è attenuato durante l’estate ma che comunque ha sfiorato il -20%. E che, ovviamente, non consola chi vive di turismo invernale. 

A livello territoriale, proprio il Lazio e, in particolare, Roma subiscono il calo peggiore. Senza contare il crollo del turismo internazionale, soprattutto da Paesi come Stati uniti, Brasile, Cina e Russia. Non stiamo parlando di un settore di nicchia. Prima del covid, il turismo in Italia valeva circa il 6% del Prodotto interno lordo (Pil), che arrivava al 13% considerando l’indotto: si tratta di un giro di affari di oltre 200 miliardi di euro, che, secondo l’Istat, dava lavoro a quasi 3,5 milioni di lavoratori (il 15% degli occupati in Italia). 

E se, per quanto concerne il turismo nazionale, è facile sperare che, con l’allentamento dei vincoli di movimento e la lenta ma ormai strutturata campagna vaccinale, si torneranno a riempire spiagge, città d’arte, lungo-laghi e sentieri di montagna, lo stesso non può ancora dirsi per il turismo internazionale, che fino a poco tempo fa portava in Italia 48 miliardi di euro ogni anno. Fino allo scorso settembre, il calo delle presenze straniere in Italia era stato del 70%; da allora, il Paese non ha fatto altro che chiudersi ancora di più. Facile immaginare un consuntivo a fine anno ancora peggiore. 

Questi numeri però non devono servire solo a farci riflettere sui danni creati dalla pandemia. Al contrario, dovrebbero chiarire l’enorme potenziale di ripresa che proprio questo settore potrebbe garantire nei prossimi anni, ma anche nei prossimi mesi, al Paese intero. Il turismo è una miniera d’oro con un filone potenzialmente senza fine. Innumerevoli i luoghi di interesse storico e naturale, impossibili da censire le migliaia di chilometri di coste e rete sentieristica nazionale; 55 i siti patrimonio dell’umanità riconosciuti dall’Unesco (il numero più alto in tutto al mondo, insieme alla Cina), una rete di cammini e offerte gastronomiche dedicate al turismo “slow” che non ha eguali. 

Ma una miniera d’oro non ha alcun valore se non viene duramente scavata. E l’aspetto più paradossale, ma anche più triste, è che anche in assenza di pandemia questa miniera non è mai stata sfruttata appieno. Con la scusa che la storia e le bellezze naturali del nostro Paese «si vendono da sole», molti professionisti del settore, e ancor più colpevolmente molte istituzioni, semplicemente evitano di investire e di adeguarsi a una domanda di turismo sempre più globale e sempre più esigente. Lo conferma purtroppo anche la programmazione degli ultimi mesi, alla vigilia di una possibile e auspicabile rinascita del settore.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), appena presentato, prevede una linea di intervento apposita per il turismo all’interno della missione 1: tante parole, tanti progetti. 

Tuttavia, quando le parole lasciano posto alle tabelle e ai numeri, si resta piuttosto delusi: sono previsti interventi per 6,68 miliardi di euro dal Recovery Fund, più altri 1,44 miliardi di euro dal fondo aggiuntivo. Non certo noccioline, sia chiaro: ma stiamo comunque parlando solo del 3,5% sul totale dei fondi, con un impatto cumulato previsto sul Pil di meno dell’1% di qui al 2026 (nullo per il 2021).

E fuori dal Pnrr? Sia chiaro: prima di tutto la sicurezza. Inutile quindi perdersi in polemiche su una settimana in più o in meno di coprifuoco o di aperture, perché ciò che conta di più è la prospettiva stagionale. Tuttavia, anche su questo nel nostro Paese non si vede un granché, mentre dall’estero arrivano alcune idee ed esperienze interessanti. La Grecia prima e la Croazia poi hanno deciso di vendere al mondo dei territori liberi da covid, attraverso campagne vaccinali mirate e con la doppia finalità di garantire tranquillità ai turisti e, non secondariamente, proteggere i residenti. 

Sfortunatamente per noi, si tratta proprio di territori e mete nostre concorrenti che, al momento, riescono a monopolizzare gran parte della domanda estera, soprattutto statunitense. In materia, non sembra emergere al momento alcuna vera strategia. E se certo qualche responsabilità il ministero del Turismo la deve avere, ancora più gravi appaiono quelle del grande assente degli ultimi mesi: il ministero degli Esteri. Per quanto possa simpaticamente stupire un presidente del Consiglio che invita i turisti stranieri a prenotare le vacanze in Italia, deve essere l’attività incessante della nostra diplomazia nel mondo a fornire argomenti validi. 
Impossibile limitarsi all’idea di un passaporto vaccinale. Prima di tutto, perché è una misura comunque europea e che non ci distingue dagli altri. Secondo, perché rischia di essere l’ennesima scartoffia burocratica che, come tutte le scartoffie burocratiche, diventa noiosa da produrre per gli italiani e al limite dell’impossibile per gli stranieri. L’unica speranza, ma non c’è da farsene vanto, è che la voglia di viaggiare sarà talmente elevata che la domanda supererà di gran lunga l’offerta, anche di quei Paesi che sembrano più all’avanguardia di noi. Ciò che preme più sottolineare, in conclusione, è che la strategia sul turismo rischia di diventare rappresentativa di una strategia più generale. Quando finirà l’emergenza, quando finirà la protezione del bilancio pubblico, il mondo tornerà a competere, come ha sempre fatto. Chi sarà stato più veloce e lungimirante, e sarà quindi più attrezzato, vincerà tutte le sfide: non solo quella di accaparrarsi turisti stranieri, ma anche quelle di attrarre investimenti, risparmi, talenti. 

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