Pensare che, tra i partiti in corsa, c’è chi fino a ieri rilanciava una “Coalizione Ursula”, formato italiano. Adesso invece Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è al centro di un polverone, dopo la sua uscita durante una conferenza all’Università di Princeton. «Vedremo i risultati delle elezioni – la risposta a una domanda sulle urne italiane –. Il mio approccio è che qualunque governo democratico voglia lavorare con noi, ci lavoriamo insieme». Poi la postilla che accende la miccia. «Ma se le cose vanno in una direzione difficile - ho parlato del caso di Polonia e Ungheria – abbiamo gli strumenti». Apriti cielo. Una forma di interferenza sull’Italia, è sembrata. Tanto da scatenare una ridda di polemiche, non solo a destra ma anche tra i centristi come Renzi. Tanto che, ieri, da Bruxelles è arrivata la precisazione: «È chiaro – è la nota del portavoce della Ue Eric Mamer – che la presidente della commissione non è intervenuta nelle elezioni italiane e che ha fatto riferimento a procedure in corso sullo Stato di diritto (Polonia e Ungheria)».
Correzione di rotta a cui si aggiunge la notizia dell’imminente sblocco, da parte della Commissione Ue, della seconda rata dei fondi del Pnrr: 21 miliardi che secondo le previsioni dovevano essere liberati il 29 settembre, e invece otterranno il via libera con qualche giorno d’anticipo.
LE ALTRE REAZIONI
Nel frattempo, però, erano fioccate le reazioni. Matteo Salvini prepara una mozione di censura da presentare in Europa: «È un attacco alla democrazia, oltretutto con il ricatto: mi fermi i fondi europei se Salvini blocca gli sbarchi o il nutriscore. Alla faccia delle ingerenze internazionali». E l’arringa è andata avanti nel pomeriggio: «La signora si vergogni e chieda scusa, se ne ha il coraggio. L’Italia non è né l’Ungheria né la Polonia». Ce n’è anche per il premier Mario Draghi: «Non ho colto reazioni del professore e premier, Mario Draghi che rappresenta tutta l’Italia». E nel tardo pomeriggio il leghista riunisce i suoi per un flash mob davanti alla sede del Parlamento europeo a Roma. Critiche anche da altri esponenti del centrodestra. Romani (Italia al Centro): «Toni inopportuni». Giovanni Toti (Noi moderati): «Frase infelice ma strumentalizzata». Mentre per Guido Crosetto (FdI) «Il presidente del Consiglio non è il capo di un partito ma rappresenta l’Italia. E la Ue non può non confrontarsi con lui».
LE CONVERGENZE
Sull’entrata a gamba tesa della Commissione vanno in scena convergenze inedite. Matteo Renzi è tranchant. L’Ue, chiosa netto il leader di Italia Viva, non deve «entrare minimamente nelle questioni italiane». E anzi rilancia: «Faremo di tutto perché Meloni non governi ma rispetti il suo ruolo e ci aiuti a fare dell’Europa un luogo nel quale il presidente della Commissione possa essere eletto direttamente». Perfino Enrico Letta invita a dei distinguo: «È una frase che va chiarita perché se specificamente applicata all’Italia è ovvio che è un elemento che in questa fase elettorale provoca parecchio casino». Ma poi attacca Salvini: «Gravissimo il suo atteggiamento».