Ci sono sempre stati i voti-farsa, i voti-sberleffo, la goliardia o lo sparo da franco tiratore di scrivere sulla scheda - contro Fanfani - «nano maledetto non sarai mai eletto». E però. Non c’è un Pnrr da mandare avanti, ora? Non esiste un tema che si chiama ricostruzione italiana? Non dobbiamo uscire dalla pandemia e ripartire di slancio, anche perché chi si ferma è perduto? Ma soprattutto: grazie a Mattarella ci siamo affidati a un personaggio come Draghi che - comunque la si pensi - non ci fa sfigurare nel mondo e converrebbe mantenere questa reputazione senza sporcarla scherzando o abbandonandosi a sfoghi parlamentari improntati al sorriso o al vaffa e degradandosi a Paese con una classe politica la quale - mentre i cittadini vogliono chiudere al più presto il dossier elezione presidenziale e avere risposte su come ricreare lavoro, affari e futuro - si lancia in diversivi e in goliardie come quelle di votare i calciatori o gli allenatori di calcio per succedere all’attuale Capo dello Stato. Ma è mai possibile un tale livello di auto-degradazione dell’orgoglio patriottico e di populismo anti-politico in piena votazione per il nuovo rappresentante massimo dell’Italia?
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Segnali e sberleffi
E tuttavia, al netto di tutti questi discorsi così virtuosi ma evidentemente anche minoritari, ieri al secondo scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica i voti-farsa si sono ripetuti come schiaffo alla serietà e all’esigenza di fare presto e bene. Si prevedeva: molti voteranno per Mattarella, che ha detto di non essere in gara e lo ha ripetuto per 15 volte in ogni occasione e dappertutto, per sottolineare uno scontento verso i partiti che non sanno chi candidare e che cosa decidere. Il voto a Mattarella poteva essere un segnale politico serio, da parte della destra e della sinistra che volevano dire alla destra e alla sinistra di trovare una soluzione sennò l’unica opzione restava quella del bis improbabilissimo. Ma neppure questa prova di lucidità si è stati capaci di esercitare. Soltanto 39 voti per Mattarella (a pari merito con quelli per il giudice Maddalena, sponsorizzato in un remake di Rodotà-tà-tà dagli ex grillini) e 18 voti per Renzo Tondo, 17 per voti Roberto Cassinelli, 14 voti per Ettore Rosato, 12 voti per Bossi (si sono raddoppiati rispetto alla prima votazione), 8 voti per Cartabia sponsorizzata da Calenda (anche con messaggi WattsApp agli amici parlamentari di ogni partito) e altrettanti Giorgetti («Giancarlo io prendo più voti di te, vergognati!», ha scherzato Bossi con il ministro dello Sviluppo Economico, lumbard quanto il Senatur) e il sociologo Luigi Manconi scelto dai garantisti di sinistra. Sette preferenze sono andate a Moles e a Berlusconi. Bersani si ferma a quota 6 come il giudice Gratteri, e l’ex democristiano Generoso Serafino prende 5 voti come Pianasso. Fra gli altri: 4 voti vanno a Draghi e al radicale Cappato ma anche a Enrico Ruggeri il cantante e a San Gregorio il patrono. Sono tre le schede per Alberto Angela, Belloni e Casellati così come per Rutelli. Due voti sono per il giornalista Fulvio Abate e per Giletti come per Amato, Razzi (che ha chiesto agli amici: «Votatemi») e l’ex ministro Giulio Tremonti. Siamo nella linea Al Bano-Frassica-Mancini di questa elezione presidenziale.
Giocare, prendere tempo.
No fiasco
E ancora tra l’altro ieri e ieri, nomi letti da Roberto Fico al momento dello spoglio: Giuseppe Cruciani il giornalista radiofonico, Claudio Lotito la cui lettura del nome ha scatenato un coretto in Transatlantico davanti al video dell’emiciclo («Forza Lazieeeee», grido bipartisan) e ancora: Mauro Corona («Toglietegli il fiasco! E liberate la Berlinguer!», hanno chiesto quelli del Pd). Per non dire degli scrutini in favore di Amadeus. Ma se Sanremo è Sanremo, il Colle dovrebbe essere il Colle e non uno show.