Il disastro ambientale della Valle del Sacco per la giustizia italiana, in primo grado, ha un solo colpevole: è il direttore dello stabilimento industriale «Caffaro» di Colleferro.
Quindici anni. Ci sono voluti quindici anni per arrivare alla sentenza di primo grado pronunciata ieri dal giudice monocratico del Tribunale di Velletri, Luigi Tirone, sul processo per reati ambientali nella Valle del Sacco diventata “la Valle dei veleni” dopo lo scoppio dell’emergenza da betaesaclorocicloesano.
La vicenda ha inizio nel 2005, quando lo sversamento del beta-HCH, sottoprodotto del lindano (un pesticida oggi vietato) nelle acque del fiume Sacco avrebbe causato la contaminazione dei terreni e, attraverso la catena alimentare, delle persone residenti lungo la fascia erariale di una vasta area compresa tra le province di Roma e Frosinone oggi Sito di Interesse Nazionale (Sin). In molti ricordano ancora le foto di mucche morte, lungo i corsi d’acqua, per aver bevuto acqua inquinata.
Alla sbarra erano finiti in quattro. La condanna a due anni di reclusione per il reato di disastro innominato, con la pena sospesa e la mancata menzione nel casellario giudiziario, è arrivata solo per Carlo Gentile, ex dirigente dello stabilimento di Colleferro, nel cui sito sono stati ritrovati i fusti tossici interrati che, secondo l’accusa, sarebbero all’origine dell’avvelenamento delle acque del Sacco.
Gentile è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni alle parti civili da liquidare in un separato giudizio civile, al pagamento di una provvisionale esecutiva di 200mila euro a favore di Italcementi che si è costituita parte civile nel processo.
Assolti, invece, Giovanni Paravani e Renzo Crosariol, legale rappresentante e direttore tecnico del consorzio Csc (Consorzio Servizi Colleferro), azienda che gestiva lo scarico delle acque della zona industriale di Colleferro. Assolto anche, perché il fatto non sussiste, Giuseppe Zulli, nel frattempo deceduto e, all’epoca dei fatti, direttore della Centrale del Latte di Roma. Era accusato di conoscere la presenza di un pesticida negli allevamenti che rifornivano il latte prodotto dalla Centrale prima della dichiarazione dello stato di emergenza nel 2005.
La prima reazione alla sentenza è di Codici (Centro per i Diritti dei Cittadini) che non si ritiene soddisfatto e valuta il ricorso in appello. «La Valle del Sacco è stata devastata – dichiara Ivano Giacomelli, segretario nazionale di Codici – è stata trasformata negli anni nella terza area più inquinata d’Italia. Ci siamo costituiti parte civile nel procedimento per difendere i cittadini, colpiti dall’inquinamento e dalla contaminazione del latte. Per capire l’entità del danno provocato alla salute, basta considerare le analisi ematiche di alcuni abitanti della zona, in cui sono stati registrati ad esempio valori di cadmio, mercurio e piombo più alti rispetto alla norma. Oggi (ieri ndr.) è arrivata la sentenza di primo grado, ma stiamo già valutando il ricorso alla Corte di Appello, perché riteniamo che non sia stata fatta piena giustizia».
Inquinamento della Valle del Sacco: per la Giustizia c'è un solo colpevole

di Annalisa Maggi
Venerdì 17 Luglio 2020, 05:05 - Ultimo agg. :
15:43
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