Sono terminate poco fa le arringhe difensive degli avvocati della famiglia Mottola accusa dell'omicidio di Serena Mollicone. Tra le prove portate dai legali per dimostrare l'innocenza dell'allora comandante della Stazione dei carabinieri di Arce, l'ex maresciallo Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria, c'è una telefonata partita dalla caserma dell'Arma, dove secondo l'accusa Serena sarebbe stata uccisa il 1° giugno del 2001, a Guglielmo Mollicone. A chiamare il padre della ragazza sarebbe stato l'ex comandante Franco Mottola che gli chiedeva di rientrare in caserma. La telefonata, sostiene la difesa, sarebbe stata fata alle 00.43. E per l'accusa, ha detto l'avvocato, a quell'ora, mezzanotte e mezza e l'una, il cadavere di Serena sarebbe stato portato nel boschetto di Fonte Cupa dove è stato poi ritrovato due giorni dopo, il 3 giugno 2001.
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«Certamente quella chiamata dimostra che non può essere avvenuto il trasporto del cadavere in quel momento e in nessun altro momento perché il comandante Mottola era all'interno della caserma - ha sottolineato l'avvocato Mauro Marsella - La signora Annamaria non aveva la patente e non poteva guidare, quindi non ha potuto sopperire a questo macabro lavoro».
Nelle arringhe difensive l'avvocato Marsella e il collega Piergiorgio Di Giuseppe, hanno puntato sull'impianto assolutamente indiziario dell'accusa.
Per la difesa la famiglia Mottola deve essere assolta con formula piena.
La procura di Cassino lunedì ha chiesto la condanna a 30 anni per l'allora comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, a 24 per il figlio Marco e a 21 per la moglie Anna Maria. Nella requisitoria, i giudici hanno chiesto anche una condanna a 15 anni per Vincenzo Quatrale, all'epoca vice maresciallo e accusato di concorso esterno in omicidio, e 4 anni per l'appuntato dei carabinieri Francesco Suprano a cui è contestato il favoreggiamento. Entrambi, secondo l'accusa, sapevano cosa era successo in caserma, ma decisero di non parlare.