Il centro Stella Polare di Sora nella rete regionale ma chiede al Comune una sede per aiutare le donne

La presidentessa Elisa Viscogliosi
La presidentessa Elisa Viscogliosi
di Roberta Pugliesi
Martedì 16 Giugno 2020, 05:50 - Ultimo agg. 13:20
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Il Centro antiviolenza Stella Polare, già nelle rete Di.Re nazionale, entra nel sistema regionale ma resta ancora senza una casa sicura e senza uffici nel comune in cui svolgere la preziosa attività a servizio delle donne. Numerose le richieste pervenute e gestite solo telefonicamente durante il lockdown per l’impossibilità di effettuare colloqui nonostante le vittime di violenza avessero la possibilità di spostarsi.

Senza dubbio l’inserimento del Centro gestito dall’associazione Risorse Donna Onlus nel sistema regionale costituisce un autorevole riconoscimento per il grande lavoro svolto in questi anni dalle operatrici e un tassello prezioso nella governante dei fenomeni sociali cittadini che in questo periodo storico hanno bisogno di presidi professionali attenti alle svariate criticità legate al fenomeno della violenza sulle donne e domestica. Ma senza sede tutto diventa difficile.

Dal Comune è arrivata ieri la notizia e a tal proposito si è espressa la presidentessa Elisa Viscogliosi: «Dal 9 marzo non riusciamo più a fare i colloqui con le donne perché lo spazio che avevamo all’interno del comune, nell’area dei servizi sociali, è stato chiuso e non ancora ripristinato. C’era un accordo con l’ente di Corso Volsci per individuare nel tempo più breve possibile due locali da far diventare la sede definitiva del centro. Non poterne avere una in cui effettuare colloqui direttamente con le donne ci sta mettendo in difficoltà seriamente».

Viscogliosi spiega come il centro non fosse nella mappatura dei centri istituzionali della Regione Lazio pur avendo presentato domanda anni fa: «Dal 2018 con il comune avevamo fatto richiesta di entrare nella rete ufficiale e da allora la Regione, dopo riunioni ed incontri e con la collaborazione degli amministratori, ha firmato la determina. Diventiamo a tutti gli effetti un centro della Regione Lazio con tutto quello che ne consegue anche e soprattutto in termini di finanziamenti».

Ottenere dalla Regione un finanziamento permette infatti di lavorare in maniera molto più adeguata perché si potrà strutturare il lavoro non più solo attraverso l’impiego dei volontari ma con personale con funzioni specifiche. Il centro non avrà più solo lo scopo di accogliere ma dovrà attivare una serie di servizi che andranno nella direzione di prevenire la violenza e promuovere campagne di sensibilizzazione e progetti di prevenzione nella scuole.

«Siamo un punto di riferimento per tutto il territorio da Sora a Cassino – aggiunge Elisa Viscogliosi - dove non ci sono centri riconosciuti ed autorizzati come il nostro. Fino ad oggi, lo abbiamo fatto in maniera sporadica perché era confinato alla buone volontà delle operatrici volontarie, adesso diventa una attività a tempo pieno da realizzare sul territorio in modo capillare. Ora abbiamo fortemente bisogno di una sede perché saremo un servizio pubblico con orari di apertura, dove gestire la progettazione , cosa che abbiamo fatto fino ad oggi comunque ma in maniera molto ridotta, con risorse pari a zero e poche opportunità».

Un centro riconosciuto è un centro a cui possono far riferimento tutte le donne attraverso il 1522, che può intervenire anche per quanto riguarda la formulazione di nuove leggi, ad esempio, nuove delibere e determine che vadano ad attuare interventi a favore delle donne: «Finalmente abbiamo voce in capitolo, autonomia ed indipendenza. Sarà un luogo di promozione dei diritti delle donne a 360 gradi e non solo nella fase emergenziale. Ora possiamo avere uno sguardo più ampio».

Non sono pochi i problemi da fronteggiare. C’è anche quello della struttura di Villa Latina che ospita donne e minore vittime di violenza e che è sotto sfratto: «L’emergenza Covid ha lasciato tutto in sospeso, anche la strada del dialogo con gli enti è ferma. Avevamo chiesto l’intervento della regione, siamo stati sostenuti nell’interfacciarci con gli enti locali. Questa settimana siamo in attesa di risposte».

Il lockdown ha acuito alcune problematiche e parlano i numeri: «Abbiamo avuto calo drammatico nelle prime due settimane della quarantena e nemmeno una chiamata al centralino. Le donne infatti non avevano la possibilità di chiamare pur avendone bisogno. A questo si aggiunge che abbiamo la sede chiusa e se qualcuna ha provato a chiamare non ha avuto risposta. Chi aveva necessità di colloqui lo abbiamo dovuto ascoltare per telefono ma non è la stessa cosa perché la fiducia si crea con il contatto. Da metà aprile fino a fine maggio poi la richiesta di aiuto delle donne è raddoppiata. C’è stata una vera e propria esplosione, un incremento del 50% rispetto all’anno scorso. Abbiamo avuto nuove richieste di inserimento in casa rifugio, un nucleo seguito a distanza perchè inserito in protezione. Insomma una situazione drammatica. Continuiamo a seguire le donne per telefono ma è davvero molto faticoso».

Ed allora si attende una sede, al più presto possibile. Le vittime di violenza non possono aspettare.
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