I tank israeliani ai confini di Gaza. L'onu: «Intollerabile uso della forza»

Il leader israeliano Benyamin Netanyahu
Il leader israeliano Benyamin Netanyahu
di Eric Salerno
Venerdì 11 Luglio 2014, 08:26
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Oltre alle bombe, una pioggia di volantini. L’aviazione israeliana ha cominciato a convincere i residenti di Gaza ad allontanarsi dal confine ma non chiaro se e quando ci sarà un’operazione di terra ed eventualmente di quale portata. Alcuni ministri, tra cui a sorpresa anche quello degli Esteri, Avigdor Lieberman, sono tornati a offrire calma in cambio di calma mentre Netanyahu è apparso, per la prima volta, più battagliero. «Per ora non si parla di tregua», dice il premier. «Abbiamo provocato danni importanti ad Hamas, però attaccheremo con maggiore forza man mano che l'operazione va avanti».

Nel tentativo di saturare il sistema anti-missilistico Cupola di ferro che è riuscito a risparmiare a Israele e alla sua popolazione gravi danni e vittime, Hamas e la Jihad lanciano bordate di venti o trenta ordigni di piccola o media gittata. Ieri sera, per la prima volta, le sirene sono suonate anche a Haifa, una delle città più settentrionali, raggiungibile soltanto con i missili più potenti nell’arsenale di Hamas. Altri sei meno potenti sono stati intercettati e distrutti sul cielo di Tel Aviv e altri ancora nei dintorni di Gerusalemme. Amir Oren, un’analista militare intervistato alla tivù, si chiede se «come gli israeliani si fidano di Cupola di ferro anche Hamas in qualche modo conta sul sistema per impedire ai suoi missili totalmente imprecisi di colpire i luoghi santi dell’Islam» nella città vecchia.

Le statistiche, in questo conflitto come in altri simili, fanno parte integrante della guerra. A fornire l’ultimo bilancio è stato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon che in una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza ha parlato di «uso sproporzionato della forza». Le vittime palestinesi degli oltre cinquecento raid israeliani sono 88, per la maggiore parte civili. I feriti sono 339. Centocinquanta le case distrutte. Novecento le persone sfollate.

L’esercito israeliano ha spiegato che l’uccisione di un’intera famiglia di otto persone «è stato un errore». Gli abitanti della casa (la residenza di un esponente di Hamas) erano stati avvertiti con un sms dell’imminenza di un attacco e quando sono usciti, il caccia ha sparato un missile senza esplosivo che ha colpito il tetto della casa. Era «un secondo avvertimento» ma, si difende il portavoce, la famiglia è improvvisamente rientrata ed era troppo tardi per fermare il carico mortale. Non è chiaro, invece, perché una nave da guerra israeliana abbia sparato un razzo contro il “Fun Time Beach” di Khan Yunis, dove decine di tifosi stavano seguendo i mondiali di calcio: una decina le vittime. Ban Ki-moon ha ricordato che contro Israele, negli ultimi tre giorni, sono stati lanciati 550 razzi. A queste statistiche, fonti di Tel Aviv hanno aggiunto il decesso di una donna di 65 anni di Ashdod. Spaventata dalle sirene d’allarme, è scivolata e ha sbattuto la testa.



INCURSIONI MIRATE

Netanyahu è consapevole che il bilancio in vite umane gioca contro Israele nell’arena internazionale. E lo sanno anche i militari che sono contrari a un’offensiva massiccia di terra ma favorevoli a una serie di incursioni mirate. Vorrebbero approfittare di questa occasione per cercare e distruggere i depositi di missili e altri armamenti che Hamas e la Jihad sono riusciti a nascondere negli ultimi due anni. Tregua sì, ma senza fretta. E’ la stessa cosa vale per Hamas. Gli uni e gli altri hanno bisogno di portare a casa un successo pratico o propagandistico prima di tornare, eventualmente, alla pace non pace che regnava in questo lembo di Medio Oriente. Hamas non può sperare di distruggere Israele. E Israele non vuole riprendersi Gaza con il suo milione e mezzo di abitanti. Se i missili palestinesi non compiranno una strage, le parti andranno avanti per qualche giorno ancora.



LA DIPLOMAZIA

Al di là delle preoccupazioni e delle condanne di rito, non ci sono finora grandi pressioni per mettere fine agli attacchi. L’amministrazione americana ha lasciato ampio spazio di manovra a Netanyahu e soltanto ieri ha esortato Israele a non invadere Gaza. L’Egitto, tradizionale mediatore tra i palestinesi e Israele è latitante. Turchia e Qatar, emirato molto vicino ai Fratelli musulmani e alla leadership di Hamas, hanno offerto il loro aiuto diplomatico.
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