Schiavone, pentito dei misteri: venti anni di rivelazioni e ricatti

Schiavone, pentito dei misteri: venti anni di rivelazioni e ricatti
di Daniela De Crescenzo
Mercoledì 6 Novembre 2013, 12:46 - Ultimo agg. 7 Novembre, 14:15
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Sono pentito di essere pentito: Carmine Schiavone, se potesse, farebbe marcia indietro. Lo ha ribadito pi volte nelle interviste concesse in queste settimane a giornali, radio e tv, spiegando che le sue dichiarazioni, ripetute in numerosissimi processi, non hanno mai ottenuto gli effetti sperati.



Tutti da chiarire, però, gli obiettivi che il collaboratore intendeva raggiungere. Liberare la Campania dai veleni? Forse. Stoppare il traffico dei rifiuti? Può darsi. Ma, forse, per capire cosa ha provocato il fiume in piena delle dichiarazioni di questi giorni, sarebbe utile sapere come ha vissuto Carmine Schiavone nei venti anni che lo separano dal giorno in cui decise di raccontare fatti e misfatti del clan dei casalesi. Venti anni che, ovviamente, sono avvolti nel silenzio dovuto alla sua sicurezza. Come collaboratore di giustizia Schiavone ha avuto diritto a una nuova identità. Lui, però, in queste settimane ha preferito mostrarsi in Tv, rinunciando a ogni copertura. Ha potuto farlo perché da luglio, finita di espiare la pena ai domiciliari, è un libero cittadino in attesa di definizione di alcuni procedimenti tuttora pendenti.



Poco, dunque, si sa di cosa sia successo a lui e alla sua famiglia in questi anni. Si conosce, per lo più, quello che è venuto alla luce quando è tornato a contatto con la legge. Per testimoniare nei processi, ma non solo.



Nel 2011 a tre giornalisti del Mattino che lo avevano intervistato disse: «Chi è che si è pentito? Io sono stato tradito». Tradito, non pentito. Ed è questo il punto di partenza: Schiavone decide di passare dalla parte dello Stato perché ritiene di essere stato mollato dal clan di cui era stato manager e contabile. Era stato lui ad amministrare le imprese del clan, soprattutto, ma non solo, quelle del settore calcestruzzi: la Baschi, la Concav, la Procal. Fino a che nel luglio del 1991 era stato arrestato con il figlio Maurizio: i carabinieri avevano trovato delle armi nell’impianto di calcestruzzi che gestiva a Santa Maria la Fossa, la Baschi.



Ottenuti gli arresti domiciliari, era stato arrestato di nuovo l’anno successivo con l’accusa di evasione: era a Maglie, in Puglia, invece che a Casal di Principe. Convinto di essere stato sempre sottovalutato dal cugino, il capoclan Francesco Schiavone, sospettando di essere finito in manette per una spiata, si decide a collaborare con la giustizia ottenendo in cambio anche la restituzione della Baschi, che nel frattempo era stata confiscata: le leggi dell’epoca sui pentiti erano diverse da quelle attuali. L’allora pm Federico Cafiero de Raho ne raccoglie le confessioni e partono le indagini che porteranno al processo Spartacus. E certo, almeno dal punto di vista economico, dallo Stato Schiavone non ha avuto poco.



Nel 2003, su richiesta dei difensori nel corso del processo Spartacus, il servizio centrale di protezione rende note le misure di assistenza economica prese nei confronti dei testimoni sotto protezione. Tra questi c’è Carmine Schiavone. Per lui tra il 1993 e il 2003 sono stati stati spesi 1.847.867,01 euro. 233.367,97 euro per l’alloggio; 360.693,97 per il mantenimento. Elargizioni consistenti risultano nel 1998 e nel 2000: una tranche da 550.512,94 euro e un’altra da 256.976,60 euro. Dal conto mancano i beni restituiti il cui valore si aggira intorno ai 5 milioni di euro.



Intanto Schiavone, in base alle norme dell’epoca, continua a scontare la sua pena in un regime extrapenitenziario e, a quanto pare, mette in piedi anche alcune attività imprenditoriali.



Nel Duemila il pentito finisce sulle pagine dei giornali per una vicenda familiare: chiede l’affidamento del nipotino, Carmine come il nonno, figlio di Vincenzo: la mamma, Sara Marotta, era morta in un incidente di auto e i nonni chiedevano di poter portare con loro il bimbo nella località protetta del centro Italia dove si erano trasferiti. Dopo una lunga contesa il bambino viene definitivamente affidato allo zio materno. Ma la vicenda aveva avuto, intanto, un riflesso sul processo Spartacus: voleva il bambino con sé e nel frattempo, in più occasioni, si era rifiutato di deporre mettendo in grosse difficoltà il Servizio centrale di protezione e, qualche volta, anche la Procura antimafia.



Nel 2008 un altro colpo di scena: Schiavone viene nuovamente arrestato per detenzione di armi. Denunciato dal figlio Vincenzo era riuscito a dimostrare la propria innocenza ed era stato assolto. Ma l’esperienza non era stata delle più facili: per un giorno e una notte era rimasto in cella, fino a quando il suo legale non aveva rivelato ai magistrati il suo vero nome. La storia era finita sui giornali e Schiavone se ne è sempre ritenuto danneggiato.



Sempre nello stesso anno il suo nome viene collegato alle minacce arrivate a Saviano: sarebbe stato lui a far partire l’allarme. Ma il collaboratore lo ha sempre negato.



Intanto era stato denunciato anche per una truffa al Servizio centrale di protezione: era stato accusato con il figlio Maurizio di aver preso in fitto un immobile, a spese dello Stato, poi risultato di sua proprietà. Il procedimento penale successivo lo vide assolto «non avendo il Tribunale di Roma ravvisato alcun artificio o raggiro posto in essere dagli imputati al fine dell’induzione in errore del servizio centrale di protezione del ministero dell’Interno», come spiegò il suo legale.



Nel 2009 il suo nome finisce in un’interrogazione parlamentare a firma dell’onorevole Maurizio Gasparri: in un’intercettazione aveva detto di aver ricevuto pressioni per denunciare Silvio Berlusconi

Un anno dopo, nel 2010 la giustizia fa il suo corso e Carmine viene arrestato perché arriva la sentenza definitiva del processo Spartacus. Nel 2011 viene nuovamente denunciato. Aveva raccontato dei traffici dei rifiuti, ma aveva dimenticato di dire che in un terreno di proprietà dell’opera di San Michele, della Curia di Aversa erano stati interrati dei rifiuti pericolosi, trovati poi nel 2011 dalla squadra Mobile di Caserta in un terreno in uso al genero. Il paradosso: l’accusa è quella aver creato una discarica abusiva sui terreni della Chiesa.
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