Colonia e l'aggressione alle donne. Maraini: «È un atto di guerra misogino, chi arriva da noi rispetti i nostri diritti»

Colonia e l'aggressione alle donne. Maraini: «È un atto di guerra misogino, chi arriva da noi rispetti i nostri diritti»
di Gaty Sepe
Giovedì 7 Gennaio 2016, 08:46 - Ultimo agg. 23:26
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«Un atto di guerra. Una guerra di sesso, misogina, contro le donne viste come prede». Per la scrittrice Dacia Maraini quello di Colonia è «un episodio orrendo, di cui non sappiamo ancora abbastanza e che bisogna aspettare a valutare politicamente». «Però stento a credere - dice - che tra gli aggressori ci possano essere migranti e rifugiati, gente che ha alle spalle storie molto dolorose. Chi affronta la morte rischiando la vita sui barconi o attraversando il deserto non rischia la libertà per una cosa simile».

Come si spiega quello che è accaduto a Colonia?
«Io lo vedo come un atto di guerra. Esattamente come in guerra quando le donne vengono molestate e spogliate. Un atto che viene da una cultura per cui una donna che sta per strada è di proprietà di tutti. Nonostante tutte le battaglie che abbiamo fatto, questa idea appartiene purtroppo anche ad una nostra cultura arcaica. Quella dove nasce il femminicidio che considera la donna una proprietà e una minaccia alla virilità dell'uomo. Non ne faccio una questione di sesso, non tutti gli uomini ovviamente la pensano così, ma di cultura».

Uno scontro culturale?
«Sopravvive anche da noi questo arcaismo culturale che porta a considerare le donne come una proprietà, ma noi abbiamo leggi che puniscono questi comportamenti come reati. Il problema è che invece ci sono culture in cui gli atteggiamenti violenti nei confronti delle donne sono addirittura legittimati perché la donna se non è invisibile rappresenta una tentazione. Nei momenti di tensione e paura collettiva si trova il punto debole su cui infierire. Mi sembra che da Colonia arrivino raccomandazioni di prudenza vuol dire che c'è un clima di razzismo che in un episodio del genere si può sviluppare sia ai danni delle donne che dei loro aggressori. Questi atti sono manifestazioni di crisi e di paura, d'altronde la violenza è sempre una manifestazione di paura»

Quale paura può esserci dietro un'aggressione sessuale di gruppo la notte di Capodanno?
«Una paura che ha radici culturali lontanissime, anche per la nostra cultura, se pensiamo alla cacciata di Eva dal Paradiso terrestre. Ma anche economica e soprattutto sociale. L'emancipazione femminile continua a fare paura come dimostrano, nella nostra società, i continui delitti che hanno per vittime le donne. Anche il femminicidio è una manifestazione di paura di fronte all'emancipazione, ad una donna che lavora, che decide, è sempre più visibile nella società in posti di comando e di potere e che molti uomini non tollerano. Un rigurgito arcaico».

L'immigrazione non c'entra?
«Le politiche sull'immigrazione vanno riviste. Lo scrittore Björn Larsson diceva ieri che persino in Svezia ci si sta accorgendo che l'accoglienza da sola non significa niente perché è l'immissione nelle nostre società di problemi diversi e di culture molto diverse che creano forti problemi di identità».

Che cosa si può fare?
«Aprire gli occhi davanti a questi fenomeni di grandi cambiamenti sociali e culturali. Imparare a guidarli, questi cambiamenti, con idee e progetti per il futuro. Chiudersi, in se stessi, nella propria casa o nel proprio paese è la cosa più stupida che si possa fare, mettere barricate non serve a nulla. La globalizzazione ci ha travolto».


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