Luciano Pignataro
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I cinque errori dei giovani cuochi del Sud

Spaghetti al pomodoro
Spaghetti al pomodoro
di Luciano Pignataro
Domenica 20 Marzo 2016, 11:35 - Ultimo agg. 21 Marzo, 09:16
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Fateci caso, in cucina spesso quelle che sono opportunità stanno diventando cose da cui stare alla larga. Girando per i ristoranti, nei quali non si lavora per i clienti ma per se stessi, succede per esempio di trovare risotti e pasta fresca in abbondanza, mentre i must che distinguono Napoli e l'Italia nel mondo, cioè spaghetti, mezzani, bucatini e quant'altro, spariscono.In molti ristoranti del Sud capita così che per cercare di stupire il critico ci si esibisce in improbabili risotti (quasi sempre scotti), fagottini, ravioli, plin, ravioloni, tortelli, tortellini e tortellacci, cappelli e cappellate messi a navigare su salsine e creme come le tre Caravelle di Colombo.

Piatti improbabili, che non hanno nessun aggancio con la realtà e che denotano una sola cosa: la modernità in queste cucine non arriva dall'aggiornamento, dallo studio del territorio, da stage lunghi e prolungati fatti nei migliori ristoranti italiani e del mondo, ma solo attraverso la televisione o Facebook. La situazione viene aggravata spesso da un senso estetico naif o dell'eccesso barocco, come piazzare fiorellini a destra e a manca, pioggia di salsine improbabili e spennellate su fondi bianchi.

Ci si chiede: dove è finita la grande lezione del Don Alfonso che ha conquistato le Tre Stelle Michelin con il Vesuvio di Rigatoni, gli spaghetti al pomodoro e la riscoperta della parmigiana di melanzane? E quella di Gennaro Esposito che ha due stelle grazie alla valorizzazione della materia prima della Penisola?La risposta è nel nuovo processo di colonizzazione che non è più una questione di subalternità geografica del Sud verso il Nord, ma di appiattimento e omologazione a modelli importati dalle multinazionali del gusto nelle trasmissioni televisive e dalle scuole di cucina dove il riferimento è l'uso esclusivo della tecnica. 
Vediamo alcuni degli errori che stanno caratterizzando parte della giovane cucina meridionale.

1-La studio del passato.
In una società liquida, dove ogni giorno il sapere si ricostruisce su Facebook e sugli altri social, la memoria non è più patrimonio collettivo ma diventa il sapere di pochi come è avvenuto nel Medioevo, quando la cultura classica si trasferì segregata nelle biblioteche dei conventi. E se è difficile chiedere a un giovane di vent'anni di trovare riferimenti nella cucina della mamma che è a sua volta figlia di Carosello e dell'inurbamento degli anni 60, è giusto pretendere lo studio approfondito delle ricette del territorio e della materie prime con le quali si è vissuti per millenni.

2-Usare i bonus del Sud invece di ignorarli.
Il Sud ha limone e pomodoro, due straordinari acidificanti naturali che bilanciano freschezza salivante e dolcezza rassicurante. Una delle critiche fatte alla cucina del Sud era che aveva troppo pomodoro. Vulpes alta in vinea uvam appetebat, viene da osservare. Come criticare la scelta di sposarsi con un bel marito o una bella moglie. L'acidità è la base della vita oltre che della cucina ed è sinonimo di modernità perché oggi le proposte non devono sfamare ma stimolare. Lo stile di vita è cambiato, c'è bisogno di meno calorie e soprattutto di piatti più leggeri perché si mangia fuori casa. Ricette senza limone e senza pomodoro partono così sempre svantaggiate ed è assurdo solo pensare di proporre ancora una cucina morbida e caramellosa credendo di essere alla moda. Fatevi un giro a Parigi da Saturne o in altri bistrot per capire come cucinano i trentenni in questo posto.

3-Inseguire la carne invece dei vegetali o il mare.
Ancora una volta è il Nord che impone la tendenza. Stavolta del verde e non dei fondi bruni. Ma lo fa con quella che è sempre stata la cultura gastronomica base del Mezzogiorno, ossia ortaggi, verdure e frutta di cui c'è abbondanza assoluta. Mentre qui pensiamo ancora ad abbinare gamberi a burrate se non, mi sento male solo a scriverlo, pancettandoli, il mondo va in una direzione opposto e studia la materia vegetale. Le nuove tecniche servono a proprio a questo: estrarre sapore da melanzane, zucchine, peperoni, friarielli, verza (l'ultimo grande piatto di Niko Romito) come prima non era possibile con la cucina di casa e perché l'alta gastronomia era concentrata sulla carne o, in subordine, sul pesce. Oggi il cuoco moderno è preoccupato di lavorare sul vegetale perché è sostenibile dal punto di vista ambientale, consigliato sul piano nutrizionale, inseguito dai gourmet perché è molto più buona e complessa una mattonella di melanzana invece di una mattonella di carne.

4-Mancanza di orgoglio sulla pasta.
Non usare la pasta è come avere un biglietto di prima classe e usarlo per la seconda, poter andare in corsia preferenziale e scegliere di fare la fila. Insomma è una di quelle coglionate stratosferiche. Il piatto di pasta ha un valore assoluto perché frutto di un sapere lungo molti secoli e il livello dell'industria come dei piccoli pastifici in Italia è eccezionale. In modica quantità, ovviamente, è il momento clou orgasmatico del pranzo. In un ristorante del Sud ci dovrebbero essere almeno due trafile fisse (corta e lunga), un risotto solo se ne hai fatti diecimila seguito da Corelli e Berton, e una pasta fresca unicamente se sei sull'Appennino.

5-Il vino e l'olio.
In genere chi capisce di vino cucina meglio. È incredibile la stratosferica ignoranza dei cuochi in questa materia che invece è decisiva per il benessere di chi viene al ristorante. Non avere curiosità per ciò che incide dal 30 al 50 ma anche al 200% del conto vuol dire non essere un imprenditore del cibo, ma un avventuriero del mestiere che naviga a vista. Qualsiasi cuoco prima di mettersi ai fornelli dovrebbe aver fatto almeno il primo livello dell'Ais. Io in genere non mi fido di chi non beve. L'unica battaglia vinta è quella della superiorità dell'olio d'oliva. Ma lo si deve agli scienziati e a Alain Ducasse.

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In sintesi, la situazione è questa: molti giovani cuochi meridionali non usano la tecnica per valorizzare l'enorme patrimonio storico e colturale, ma per dimostrare di essere uguali agli altri.

E allora viene da chiedersi: perché venirvi a trovare quando da Parigi a New York, da Copenhagen a Hong Kong si trova di meglio e si sta molto più comodi?

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